Ancora una grande prova d’attore per Glauco Mauri in questo spettacolo dove comico e tragico si fondono. Capolavoro letterario dell’era post-elisabettiana, Volpone è più una commedia sul denaro che non sulla furbizia, di cui peraltro il protagonista ovviamente non manca. Ambientata nella Venezia di fine cinquecento, ci viene un ritratto sarcastico e grottesco della società londinese di primo seicento, intrisa di corruzione, malcostume, avidità. La commedia obbedisce anche alla tradizione dell’allegoria animalesca; ogni personaggio porta il nome di un animale (Mosca, Volpone, Corbaccio, Voltore…) che a sua volta vuole incarnare una caratteristica (parassitismo, furbizia, avarizia, avidità…). "Volpone" è una terribile farsa in cui una risata feroce graffia il volto di una società nella quale – ieri come oggi – tutto viene sepolto sotto il "Dio" denaro. Raramente il comico e il tragico si fondono in una così divertente armonia. Si ride, si gioca ad essere crudeli, si sghignazza, ci si traveste e ci si inganna per restare alla fine spauriti di fronte al baratro in cui può precipitare l’uomo quando si rende schiavo della sua avidità. "Dire cose utili divertendo" sono le parole di Ovidio che Ben Jonson ha posto sotto il titolo del suo "Volpone" volendo così esprimere le finalità del suo lavoro: "divertire" con il dramma o la commedia per rendere più ricchi gli uomini di umanità. Ben Jonson, con Shakespeare e Marlowe, ha esaltato il periodo elisabettiano ed è considerato uno dei più grandi autori del Teatro di tutti i tempi e il "Volpone" come tutti i veri capolavori parla non solo degli uomini del suo tempo ma anche di noi. Una poetica coerenza ha sempre legato tra loro i grandi personaggi classici che Glauco Mauri ha interpretato: l’uomo e la sua fatica di vivere. Questo impasto di luce e di fango verso il quale, nonostante tutto, non possiamo non provare un sentimento di commossa pietà. Edipo, Macbeth, Don Giovanni, Faust, Re Lear, ed ora ecco la ruvida comicità di "Volpone" dove una enorme, sgangherata risata soffoca i singhiozzi della disperata solitudine a cui può condurre la malvagità dell’uomo. E Roberto Sturno dopo aver interpretato i ruoli dei "servi" più famosi – Puk del "Sogno", Sganarello del "Don Giovanni", Feste della "Dodicesima notte", Calibano della "Tempesta" e il Fool del "Re Lear" – sarà ora Mosca il servo parassita che con la sua crudele astuzia conduce, come un regista, la farsa alla sua drammatica conclusione.
ATAM