PROMETEO INCATENATO

1. Sinopsi
Della Trilogia composta da Eschilo intorno alla figura di Prometeo solo il Prometeo Incatenato ci giunge integro, del Prometeo portatore di fuoco e del Prometeo liberato restano infatti soltanto alcuni frammenti. La Trilogia costruiva un itinerario tragico esaustivo della storia del titano che ruba il fuoco agli dèi per donarlo ai mortali e che per questa ragione è incatenato sulla roccia di una rupe della Scizia.
Trascinato violentemente in scena da Potere e Forza, Prometeo è incatenato alla pietra da Efesto. Il Coro, composto dalle Oceanine, ninfe figlie di Oceano, supplica il titano di non minacciare Zeus, ma Prometeo risponde risolutamente che il dio non tiene in alcuna considerazione gli uomini e che lo vuol punire solo perché egli ha donato loro il fuoco. Impietosito dai lamenti di Prometeo, Oceano si offre di intercedere presso Zeus in suo favore. Nel contempo sopraggiunge Io, vittima anch’essa di Zeus, che l’ ha trasformata in giovenca e della gelosa Era.
Io narra a Prometeo delle sue vicende. Prometeo le predige il futuro. Infine, a conclusione del testo, vediamo arrivare Ermete che in nome di Zeus intima a Prometeo di rivelargli la verità sulla fine del Cronide. Ma né le sue minacce né le implorazioni del Coro hanno alcun esito. Così, la collera di Zeus si manifesterà per mezzo di un terribile cataclisma che Prometeo stesso descrive e che nella scena viene restituita dal lento sprofondare del Titano nella roccia che ne assorbirà il corpo.
Nella linearità dell’azione scenica, protagonista è Prometeo, la cui generosità nei confronti dei mortali lo scagiona ai nostri occhi da ogni colpa e lo estrae dai fulmini del giudizio. Eschilo, infatti, non ne esalta la disobbedienza agli dèi, piuttosto pone al centro della tragedia la drammaticità della sua solitudine di fronte al volere e al potere divino.
Nel simbolismo del fuoco come origine della tecnica e come progresso, Prometeo assorbe in sé il segno e la valenza di una vittoria dell’ingegno umano sulle forze ostili alla emancipazione. La disobbedienza di Prometeo diviene così atto di sacrificale idealità che ne fa una figura straordinariamente eschilea, anche in ragione della forza e del rigore etico nei riguardi della propria missione.
2. Una Pietra/Corpo
La scena prometeica si apre quindi sulla “pietra-corpo”, vale a dire sulla pietra in cui il titano è saldamente incatenato, eretto e non inginocchiato, e dove l’aquila inviata da Zeus gli rode il fegato che di continuo si rigenera affinché sia destinato al supplizio eterno. Dunque la pietra e il corpo si fondono nel supplizio: il sangue che sgorga dal corpo di Prometeo impregna la pietra alla quale è incatenato, fino a “farla odorare di umano”. Una pietra-corpo, avvolta dal segno del fuoco come energia nutritrice della tecnica quale mezzo indispensabile al futuro ingegnoso dell’uomo.
Come per l’Olandese Volante, costretto dal giudizio di Dio a vagare sul mare all’infinito per l’impossibilità di un approdo che gli sarà eternamente negato, così è per Prometeo, la cui colpa è quella di aver portato il fuoco del dio agli uomini, e cioè di aver insegnato loro la tecnica rendendoli “da infanti quali erano, razionali e padroni della loro mente”. Con la tecnica cioè gli uomini possono ottenere dal proprio ingegno ciò che prima erano costretti a chiedere agli dèi. Una fondamentale libertà d’invenzione del proprio futuro e la prefigurazione di un nuovo assetto cosmico, perché Zeus ha dalla sua la forza della violenza ma non ha potere sul futuro, e per questa ragione la sua violenza si infrange contro il rifiuto di Prometeo di rivelargli il segreto del suo destino; il disegno in ragione del quale egli, Zeus, sarà privato del potere e degli onori. E’ questa una viva opposizione che si erge a contenuto risolutivo del dramma divino. Infatti, un polo di energia drammatica è costituito dalla forza di Zeus limitata però dalla non conoscenza della tecnica; l’altra polarità è rappresentata dalla conoscenza tecnica, limitata però dalla violenza della forza. Solo la “necessità” (come i greci definivano l’accordo) , vale a dire il reciproco riconoscimento dei rispettivi poteri, può condurre alla risoluzione di questa doppia e contrastante polarità; ad una mediazione tra dèi e uomini, tra il “sopra” e il “sotto” di cui Prometeo è comunque veicolo di scissione e nel contempo di relazione. Questa scissione è l’esplosione della energia del dramma divino. Il luogo in cui l’energia esplode, dando vita alla tragedia, risiede nel segreto di Prometeo, di colui “che vede in anticipo”. Ed è la tragedia del passaggio, della trasformazione, della caduta degli dèi e della visione mitica di un mondo incapace di prefigurare quella storia a venire che la tecnica invece inaugura. Ma perché la tecnica abbia un senso e sensatamente possa inscriversi nel progresso dell’uomo e della sua storia c’è il segreto che Prometeo conserva: egli sa che prima del dono della tecnica sarà necessaria una trasformazione antropologica profonda in grado di emancipare l’uomo dalla nostalgia del passato per aprirlo alla progettualità della previsione. Questa trasformazione è il segreto che Prometeo nasconde a Zeus e contro cui nulla può la potenza insipiente del dio. Non sarà quindi la tecnica a sconfiggere Zeus ma quella trasformazione attivata da una nuova consapevolezza del tempo, qui colto nel suo passaggio dalla nostalgia all’utopia. Non più il passato immutabile governato dagli dèi ma il presente degli uomini immediatamente rivolto al loro futuro. Senza questo passaggio va da sé che la tecnica come progresso non avrebbe senso. Prometeo ne è consapevole e mantiene il segreto. Il suo segno è il pensiero che guarda oltre e più di ciò che vede. La tecnica allora, come invenzione e come veicolo di superamento del mondo dato verso un mondo possibile attraverso un’ attivismo che incalza la coscienza dell’essere nel mondo, per trasformarla in un essere nel mondo per fare, per agire con il corpo e con l’anima. E dove la tecnica è la proiezione delle intenzioni del corpo, e l’anima, intesa come qualcosa del corpo, è la memoria del risultato tecnico raggiunto attraverso l’azione, che diventa per così dire il presupposto mnemonico di successive, progettabili azioni di progresso.

3. Il segreto della cieca speranza
Quale espressione autorevolissima del mondo greco e antico Eschilo avverte l’insorgenza della crisi e disegna un affresco drammaturgico inquieto ed inquietante. Alla ragione possessiva degli dèi immortali si sostituisce quella degli uomini i quali nel possedere la tecnica rischiano di essere da essa posseduti per quell’assunto fondamentale di fragilità che risiede nel suo stesso destino di mortalità. Prometeo conosce il destino dei mortali e perciò insieme alla tecnica e alla memoria che è all’origine di ogni tecnica, porta in dono agli uomini un “farmaco” senza il quale ogni progetto fallirebbe sul nascere. Prometeo impedisce agli uomini di vedere la loro sorte mortale attraverso quel “farmaco”, che è esattamente il porre in loro “cieche speranze”.
La cieca speranza che Prometeo dona agli uomini insieme alla tecnica è l’idea di una vita non più scandita temporalmente dal ciclo biologico e naturale ma dalla resistenza della tecnica agli effetti del tempo, dal suo proporsi come elemento permanente e come tale, pur nella successione dei cambiamenti, prolungamento progressivo dell’esistenza, la cui fine può determinarsi solo attraverso una sua esplosione, solo a mezzo della morte per mano propria, ma non più della morte biologica determinata invece dal ritmo della natura.
Estraendo il destino mortale degli uomini dall’inesorabilità del ritmo naturale e infondendo loro la “cieca speranza” di vincere la morte, Prometeo dilata fino alla dissoluzione il concetto stesso di immanenza della malattia della morte, quindi della precoce e scura rassegnazione degli uomini in ragione della quale e nella prospettiva dell’inutilità dell’agire progressivo, ogni tecnica risulterebbe vana ed inutile. La “cieca speranza” e il “fuoco” sono evidentemente tra loro connessi, ciascuna è condizione d’esistenza dell’altro. La loro connessione diventa il fattore irrinunciabile che consente all’uomo di estrarsi dal ritmo della natura, quindi di disporne e in tal modo elevarsi all’altezza di Zeus, che è l’unico libero. La violenta condanna di Prometeo alla tortura infinita ha per Zeus la valenza dell’inquietudine del divino al cospetto del pericolo che l’atto del titano ha innescato. La vana speranza di Zeus risiede infatti nella possibilità che Prometeo, sugli effetti dolorosi della tortura, riveli il suo segreto: il conoscere in che modo gli dèi saranno privati del potere della forza per azione della tecnica degli uomini. In un modo preciso: per azione del progresso come acquisizione della razionalità.

4. Epiphaneia delle apparizioni
Il testo eschileo ed i suoi personaggi, vale a dire linearità narrativa e ingranaggio narrante: sono i due momenti drammaturgici centrali per la costruzione dello spettacolo. Da una parte la scansione testuale dell’evento sacrificale e la lotta tra Cielo e Terra simboleggiata dall’Angelo “mephistofelico” scacciato dall’Olimpo; dall’altra una cronometrica successione di “visite” dei personaggi mitologici che nel rapporto con Prometeo lo definiscono drammaticamente. Tutto si muove in scena con una precisa scansione meccanica, come un perfetto ingranaggio sincronicamente modulante il testo-macchina e capace di sostanziare ai diversi livelli simbolico-contenutistici l’ epifania del gesto eschileo, come una sorta di epiphàneia delle apparizioni, una festa tragica il cui centro è il corpo dell’eternamente condannato. Un rituale danzante, nel testo e nell’azione, intorno al feticcio prometeico, già avvolto e prigioniero degli ingranaggi di una macchina scenica nella quale progressivamente scomparirà per ritornare alla sua primaria dimensione di corpo/roccia doloroso.

Claudio Di Scanno

La locandina

Interpreti
Con Susanna Costaglione, Massimo Balloni, Raffaello Lombardi, Michele Demaria, Candelaria Romero, Francesca Musci, Viviana Piccolo, Ilaria Cappelluti, Marina Di Virgilio.
Costumi
Fabrizio Maria Garzi Malusardi.