ORESTIADE, PRIMA NAZIONALE ALL’ EX AURUM DI PESCARA

PRIMA NAZIONALE
21 luglio 2007, ore 21,30
EX AURUM PESCARA
in collaborazione con il COMUNE DI PESCARA-Assessorato alla Cultura
in replica dal 24 al 28 luglio 2007, ore 21,30
nell’ambito del PROGETTO ARCHEO dell’ATAM
biglietto intero €12. 00 ridotto € 10.00
botteghino aperto dalle ore 20,30
Per informazioni e prenotazioni: TSA 0862 62946 cell 348 5247095
il TEATRO STABILE d’ABRUZZO
in coproduzione con DRAMMATEATRO
presenta
ORESTIADE
di Eschilo
Drammaturgia e Regia
CLAUDIO DI SCANNO
Attori:
EMANUELE VEZZOLI (Agamennone, Apollo)
SUSANNA COSTAGLIONE (Clitennestra, Atena)
CLAUDIO MARCHIONE (Coro)
MARCO LORENZI (Oreste)
EZIO BUDINI (Egisto, Religioso)
e con
BARBARA MAZZI (Coro)
ELENA SAVIO (Coro)
ELEONORA DEIDDA (Coro)
SIMONA DI MARIA (Coro)
ANTONIA RENZELLA (Coro)
ANNA PIERAMICO (Coro)
Scene, Costumi e accessori di scena HELENA CALVARESE
Oggetti e decorazioni FRANCO TROIANI
Collaborazione alle azioni sceniche GERMANO SCURTI
Collaborazione al canto EMANUELA MARULLI
Collaborazione ai movimenti scenici MARIO BARZAGHI e IRENE PLACIDI
NOTA DI REGIA
Sono trascorsi tre anni da quando è iniziato questo percorso di lavoro che posso definire come una Trilogia del mondo antico comprendente Prometeo Incatenato di Eschilo (2005), Antigone di Sofocle (2006) nel modello di riscrittura coniato da Brecht sul finire del secondo conflitto mondiale, quindi l’attuale Orestiade di Eschilo. Tre anni e tre immersioni piuttosto intense nel mondo antico; tre spettacoli che nella loro ovvia differenza hanno un comune baricentro, una immagine centrale che li accomuna, qualcosa che ritorna con puntualità e che consente ogni volta sempre nuovi itinerari di creazione scenica. Qualcosa che ha a che vedere con un teatro abitato dai fantasmi, dagli spettri, dai morti che ritornano e che tanto mi ricorda i fantasmi di Pirandello, gli Scalognati che abitano la villa ne I Giganti della Montagna (peraltro riscritto e messo in scena dal Drammateatro nel 2004). Nella tragedia, Prometeo è un Dio scacciato e sospeso tra cielo e terra e vive nell’attesa di essere sprofondato negli inferi; Antigone perirà per aver voluto seppellire il corpo morto di Polinice; Oreste è costretto ad ammazzare la madre per vendicare il padre e così la sua mente è ingombra di spettri del passato. Le tre “pazzie” di Prometeo, Antigone, Oreste: la pazzia di chi antepone la fedeltà ai morti ai doveri verso i vivi, di chi non vuole accettare il mondo, di chi si ribella all’autorità dei re. Menti ingombre di spettri e pazzie che partoriscono atti esemplari, quindi fantasmi che ritornano. Io credo che il teatro sia una terra di nessuno piena di fantasmi che ritornano, per chiedere ogni volta un nuovo, rinnovato diritto di parola. Per dirla con Jan Kott, nel mondo tragico i morti ritornano, e per quanto concerne la “pazzia” per i Greci essa era un segno rituale e liturgico collegato agli dèi. E nella mente di Oreste i segni di pazzia hanno due precisi mandanti, seppure per ragioni opposte: il primo segno è inviato da Apollo, ed è il segno dell’odio e della vendetta; il secondo è quello delle Erinni, la loro persecuzione.
Ad aprire la mia Orestiade è una immagine che nel testo non c’è ma che rappresenta l’antefatto, il presupposto fondamentale della tragica sequela di omicidi e matricidi: il sacrificio di Ifigenia, sorella di Oreste ed Elettra, figlia di Agamennone e Clitennestra. Con il sacrificio della figlia, Agamennone propizia quel vento che consentirà alle vele delle sue navi di gonfiarsi e di muovere finalmente alla conquista di Troia. Nella scena l’immagine del sacrificio di Ifigenia è semplice ma anche traslata ad un livello differente di lettura: Agamennone, a vele piegate del suo copricapo di re condottiero, spezza e distribuisce i pezzi di un dolce che richiama ad una Pupa pasquale in uso nel sud Italia. In Abruzzo queste “Pupe” hanno al centro un uovo sodo, simbolo di fertilità e di rinascita. Offre in pasto le carni della figlia sacrificata, prefigurando la fertilità del gesto per le sorti della sua guerra e nel contempo la nascita di uno spettro che, inquieto, ha già segnato il suo destino e quello degli Atridi. Ora è il fratello di Ifigenia, Oreste, l’istigato da Apollo Dio vendicatore, a indossare la maschera dell’agnello sacrificale e come tale, come Agnello sacrificale, spettro generato dal sangue del suo stesso sangue,
assisterà all’origine stessa del suo sacrificio in quanto mano che osa la vendetta e carne che nutre la colpa. Dal sacrificio di Ifigenia tutto si sviluppa secondo i frutti di un seme che genera Colpa, che produce i fantasmi della Colpa. Clitennestra è una donna che attende da dieci anni l’uomo che ama e
che ha ucciso la loro figlia. Al suo ritorno da vincitore, Agamennone troverà ad accoglierlo il Vecchio popolo e i giovani già mutilati in battaglia, spettri che richiamano all’orrore della guerra e allo sterminio delle giovani generazioni. Spettri che preludono alle dee Erinni, le assetate di sangue della vendetta materna, la vendetta delle madri che perseguono i responsabili della morte in guerra
dei propri figli. Clitennestra madre e sposa e amante ammazzerà Agamennone vincitore di Troia,
per riscattare il suo dolore di madre e di donna ferita, assecondata e protetta da Egisto, suo amante e cugino del re Agamennone. Nel racconto del sogno della madre che partorisce uova di serpente, Oreste si identifica nella serpe; vede in questa immagine orrenda se stesso nel grembo materno, allora moltiplica il convincimento indotto da Apollo e uccide sua madre, e con lei Egisto usurpatore del trono del padre. Ora accanto all’agnello sacrificale, spettro di Oreste, si muovono altri fantasmi, ombre che abitano il Tempio e la Chiesa. Confusi con gli Dei e con i religiosi che lì dimorano, l’ombra di Oreste ritroverà nel Tempio le Ombre della vendetta: Clitennestra, Agamennone, Egisto, nelle vesti risplendenti di Atena, Apollo e di un Religioso officiante. Così, lo spazio del Giudizio, luogo di Giustizia, è un cimitero di Ombre, una tribuna di spettri, dove dormono inquiete e si risvegliano le cagne, le persecutrici di Oreste, le Furie popolane, le Erinni che hanno preso le sembianze di un popolo di rifiuti umani, le insanguinate dee del rifiuto, luride barbone erranti, avide di giustizia,
cui la saggia Atena, luccicante come Apollo e immagine stessa di un potere seducente, contrappone nell’Areopago la schiera dei Giudici popolari chiamati a giudicare il matricida Oreste.
Giudici come manichini, il cui compito sarà quello di attivare il meccanismo illusorio della istitutiva assemblea popolare. Ma si è al cospetto di un gioco di società , quasi una composizione virtuale e di propaganda del nuovo ordine: un tribunale popolare presieduto dal potere politico (Atena), completo di accusa (le Erinni) e difesa (Apollo), di una votazione finale dei giudici il cui verdetto iniziale è di colpevolezza, fintanto che al voto popolare non si aggiungerà quello del tutto arbitrario della dea Atena, e cioè del Potere che attraverso una evidente ingerenza sancisce la raggiunta quanto artificiosa parità. Alla protesta delle Erinni Atena farà fronte offrendo loro una possibilità di riscatto, la promessa di una nuova, decorosa esistenza nella città e come primo segno dona loro una veste candida, a condizione che accettino le regole di nuovo ordine al quale le Erinni dovranno comunque assoggettarsi. Ma forse è qui, nella reazione delle Erinni/Barbone, nella loro protesta, che trovo fortemente il senso dell’oggi di questa tragedia antica. Da una parte Atena, la suggestione di una nuova forma di democrazia partecipata, l’ingerenza del potere sulla Giustizia che ne fa un popolo di giudici fantocci; dall’altra un sudicio popolo errante che vuole farsi giustizia da sé. Nel pur ovvio eccesso di immagini, nella voluta estremizzazione della contrapposizione, forse si possono rintracciare i motivi di riflessione che la realtà del nostro tempo propone. E’ l’immagine stessa di una empasse storica che molto oggi ci appartiene e nella quale ci si dibatte con crescente malessere. Suona come un campanello d’allarme che lancia il suo grido di tragedia. In fondo le Furie sono le fitte terribili della coscienza. In fondo la colpa continua a richiedere vendette, in una civiltà che in tanti campi e quotidianamente celebra i suoi riti nei cimiteri della giustizia.
Claudio Di Scanno
La storia di Oreste e il valore alto e di grande attualità
della prima assemblea democratica della storia
Agamennone
La scena si apre ad Argo, dove un segnale luminoso annuncia alla regina Clitemnestra la presa di Ilio da parte di Agamennone, suo marito e re di Argo, e il ritorno del sovrano nella città. Il Coro dei vecchi canta, in un solenne corale, i temi fondamentali dell’intera Orestiade. Clitemnestra è felice della notizia del ritorno vittorioso di suo marito e poco dopo, preceduto da un araldo, giunge Agamennone con la sua preda di guerra, la giovane Cassandra figlia di Priamo. Clitemnestra accoglie con gioia il marito e lo fa entrare nel palazzo, mentre Cassandra rimane immobile dinanzi alla soglia e in un profetico delirio annunzia la strage, che l’adultera Clitemnestra (unitasi ad Egisto) sta per compiere sul marito e su lei stessa, e la vendetta che ne conseguirà. Cassandra varca la soglia. Dopo pochi attimi riappare Clitemnestra che mostra alta nella mano la scure insanguinata e i cadaveri di Agamennone e Cassandra. Al Coro dei vecchi argivi che la minaccia ella giustifica il delitto a lungo preparato nel corso dell’assenza del marito e con il suo amante Egisto si ritira nella reggia.
Coefore
Molti anni sono trascorsi dal grave fatto di sangue di cui si è macchiata la storia di Argo. Oreste, figlio di Agamennone e Clitemnestra, fuggito via da Argo dopo il sacrificio della sorella Ifigenia e dato per morto, torna di nascosto ad Argo con l’amico Pilade per vendicare il padre. Mentre prega sulla tomba di lui, giunge un gruppo di giovani donne che portano libagioni (Coefore), secondo un rito per il quale con tale offerta si sarebbe placata l’ira del morto, inviate da Clitemnestra , oppressa da tristi presagi. A guidare il Coro delle Coefore è Elettra, sorella di Oreste, che avvicinatasi alla tomba vede un ciuffo di riccioli depostovi da Oreste. Comprende che si tratta dei capelli del fratello. Oreste si rivela alla sorella: è venuto a compiere la vendetta per ordine di Apollo. Sulla tomba, i due orfani e il Coro delle Coefore pregano affinché il morto assista i figli nell’azione. Oreste illustra il suo piano: con Pilade si presenterà al palazzo fingendosi forestiero e chiederà ospitalità. Una volta al cospetto di Egisto lo ucciderà. Ritiratasi Elettra con il Coro, il piano è messo in atto. I due viandanti sono accolti da Clitemnestra. Oreste le racconta di aver incontrato nel suo viaggio uno sconosciuto, il quale gli ha incaricato di riferire ai genitori che Oreste è morto, e di recar loro l’urna contenente le sue ceneri. Clitemnestra manda a chiamare Egisto che giunge senza scorta con la complicità della Nutrice. Oreste allora lo uccide. Accorre Clitemnestra, Oreste le si fa incontro brandendo la spada, esita dinanzi alla madre che le mostra il seno che lo nutrì, ma Pilade gli ricorda l’ordine di Apollo e Oreste uccide la madre e sistema il cadavere accanto a quello di Egisto. Dinanzi ai due cadaveri, Oreste proclama di aver compiuto giustizia per ordine di Apollo. Nel tempio di Delfi il Dio lo purificherà del sangue materno, soccorrendolo e salvandolo dalla persecuzione delle Erinni.
Eumenidi
L’azione ha luogo nel santuario di Apollo a Delfi. La sacerdotessa nell’aprire le porte si ritrae atterrita: al centro, presso il sacro onfalo, è Oreste supplicante, che lo stesso Apollo difende dalle mostruose Erinni, e lo manda ad Atene, dove un tribunale di cittadini lo assolverà dal matricidio compiuto per ordine del Dio. Lo spettro di Clitemnestra assetato di vendetta sveglia ed incita le Erinni all’inseguimento di Oreste, il quale appare ora dinanzi al tempio di Pallade, sull’Acropoli di Atene. Le Erinni lo raggiungono e, danzandogli attorno come Furie, lo chiudono vittima in un cerchio magico. Ma serena e solenne appare Athena, che invita Oreste a esporre il proprio caso. A decidere, la Dea istituisce un tribunale di cittadini scelti tra i migliori, che si impegnano sotto giuramento a giudicare con equità. Ha luogo il processo: le Erinni difendono il legame possente del sangue, ma Oreste, per volontà di Apollo, ha vendicato il padre assassinato dall’adultera: il matrimonio è legame altrettanto sacro che il sangue. Dopo il dibattito, la votazione dei giudici assolve Oreste a parità di voti, parità raggiunta col voto di Athena, dea della sapienza e della saggezza. La stessa Athena placa le Erinni, assicurando loro che avranno culto e onori ad Atene. E il popolo festante accompagna solennemente in corteo le Erinni oramai trasformate in dee benigne, le Eumenidi, alla loro nuova dimora.