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Odissea
Regia di Domenico Galasso
Con Daniela Ciarrocchi, Claudio Marchione, Sebastiano Nardone, Danilo Proia, Paola Rinaldi, Lara Stara, Leo Zappitelli

"Musa, quell’uom di multiforme ingegno
Dimmi, che molto errò, poich’ebbe a terra
Gittate d’Ilion le sacre torri;
Che città vide molte, e delle genti
L’indol conobbe; che sovr’esso il mare
Molti dentro del cor sofferse affanni,
Mentre a guardar la cara vita intende.."

Questo l’inizio dell’Odissea negli immortali versi di Ippolito Pindemonte che hanno accompagnato generazioni intere nella conoscenza del mondo fantastico di Omero.
E proprio recitando questi versi debutteranno gli attori del Teatro Stabile d’Abruzzo nell’"Odissea" proposta all’interno del progetto ATAM "Archeo, teatro tra antiche mura" giovedì 10 luglio 2003 alle ore 21,15 si accenderanno le luci nella magica atmosfera dell’anfiteatro romano di Amiternum (L’Aquila).
In una scena senza tempo, tra i resti di un passato remoto e gli occhi degli uomini d’oggi si racconta il viaggio di un uomo umiliato, abbandonato dagli dei, straniero in ogni terra.
Guidati dalla regia di Domenico Galasso, allievo dell’indimenticabile Orazio Costa, sono protagonisti dello spettacolo l’Ulisse di Sebastiano Nardone, uno degli attori di grande esperienza entrato a far parte del nucleo stabile del TSA, la Penelope di Paola Rinaldi, conosciuta dal grande pubblico per il ruolo nella soap opera "Un posto al sole" e tornata con entusiasmo al teatro, Claudio Marchione, di origine aquilana amato dal pubblico italiano nel lungo sodalizio con Glauco Mauri, Daniela Ciarrocchi che proviene dalla scuola di recitazione del TSA, Danilo Proia anche lui proveniente dal "vivaio" del TSA oramai entrato nel nucleo stabile, Leo Zappitelli che, sempre dalla scuola del TSA, ha accumulato esperienze e successi nei grandi classici messi in scena da Antonio Calenda e Lara Stara, sinuosa danzatrice che ha messo a servizio dello spettacolo anche la sua esperienza di coreografa.
Peculiarità degli spettacoli prodotti per il progetto Archeo, ideato dal direttore dell’ATAM Enzo Gentile, è l’assoluto rispetto dell’animo del luogo ospitante, tutti i testi provengono dal repertorio dei classici latini e greci e gli allestimenti si basano su un rigore registico di grande rispetto per la tradizione.

Nota di regia
ULISSE, NESSUNO, ASSENZA.
Terminata la guerra di Troia – con la vittoria dell’esercito Acheo – tutti i sopravvissuti, ormai da tempo, sono tornati alle loro terre, alle loro famiglie, alla loro storia quotidiana; tutti tranne uno: Ulisse.
Nella sua reggia questa assenza determina uno stravolgimento dell’ordine dato: i Proci (caos contrapposto a Logos, ovvero rivoluzione prima della restaurazione?) anelano alla mano della Regina Penelope; Telemaco, il figlio dell’assente, chiede a Femio, il cantore dalla bocca divina, di colmargli questo senso di orfanità cantandogli le imprese del padre e il suo "difficile ritorno".
E’l’assenza, la mancanza, la distanza il motore di tutto. Il canto, il racconto, la memoria evocano l’assente.
E’il teatro che cerca di colmare, per quanto possibile, la nostra orfanità, la distanza che ci isola.
Nonostante l’Odissea sia incentrata sulla figura di Ulisse come exemplum dell’abbandono,-abbandono da parte degli dei, isolamento, lontananza-, del sentirsi sempre stranieri,-"forestieri, chi siete"-, tutti i libri sono impregnati della solitudine di ogni personaggio. Ogni incontro è manifestazione del senso di isolamento o del bisogno di comunione, che equivale a dire l’isolamento da cui si vuole uscire. Ogni volta che Ulisse incontra una donna (sia essa Nausicaa, o Circe) vede Penelope; e il desiderio di chi è lontano, anzichè; trascolorire aumenta, inevitabilmente. Come inevitabile è anche l’incontro col ciclope nella caverna, che lo porterà ad annullarsi del tutto, a nullificarsi, a dimenticare e a rinunciare al suo nome, quindi ad assumerli tutti; in nome dell’umanità, in nome dell’ominità, di fronte al mostro dall’unico occhio che "ciclopicamente" è ovunque, Ulisse, per poter sopravvivere, deve umiliarsi. Abbandonato dagli dei, Ulisse Polymecanos (capace di tutto), a questo punto del viaggio deve trovare la forza di allontanarsi da se stesso, di accecarsi, di nullificarsi, per poi ricostituirsi, poeta ormai cieco, fuori dalla caverna, e cantare alla corte di Alcinoo la sua rinascita, il lungo e difficile recupero della sua memoria (il viaggio nell’Ade).
E’ un uomo umiliato, abbandonato dagli dei, che percorre lo spazio di un universo ellittico, instabile, che ha sempre due fuochi: uno dei quali è egli stesso, l’altro di volta in volta varia (ora è la palla di Nausicaa, ora il fascino di Circe, ora il gorgo di Cariddi, ora la gola di Antinoo).
In un solo momento l’ellisse diventa un cerchio, quando i due fuochi si trovano sovrapposti: Ulisse e l’occhio di Polifemo. Da lì tutto parte. L’uomo umiliato e abbandonato dagli dei muore e rinasce, artefice della sua esistenza e poeta che la canta, soggetto narrante e oggetto narrato. Non eroe. Uomo.
Dopo aver a lungo scontato la sua nascita privilegiata ecco che torna la relazione con gli dei, il ritorno in patria, lo svelamento al figlio e quindi la vendetta e il ricongiungimento con Penelope.
Il ciclo dell’errare per ora si chiude.
Salvo riaprirsi ad ogni traduzione, dove il viaggio da una lingua a l’altra ci conferma almeno due cose: una distanza esistente da colmare e un’approssimarsi più o meno possibile al centro di un senso, sfiorando ora l’una ora l’altra delle probabili sponde della verità che, come un isola, a chi si avvicini, svelandosi in una riva, cela gli altri possibili approdi.
La prepotente traduzione di Pindemonte in una lingua a noi vicina e lontana, ha determnato il punto di partenza e quindi lo svolgimento di questo nostro viaggio, collocandolo in uno spazio tempo lontanamente caro, incerto e ad un tempo consolatorio, di un passato di là da venire, o, anche di un futuro già noto.

Domenico Galasso