Domenica 4 agosto, a Montone, Teramo, nella Piazza del Castello, alle 21,30, il Teatro Stabile d’Abruzzo, in collaborazione con Teatro Lanciavicchio, presenta “Le stanze del tempo“ con Angie Cabrera, Cristina Cartone, Matteo Cutillo, Raffaele Degni, Stefania Evandro, Paola Munzi, Gian Maria Ricci, Alberto Santucci, Rita Scognamiglio, Giacomo Vallozza, allestimenti tecnici Chiara Curci, Maurizio di Pasquale, Davide Fedele. scenografie Valerio Babbo, drammaturgia Stefania Evandro regia Antonio Silvagni e Stefania Evandro.
Storie e memorie del prosciugamento del Lago Fucino: una delle maggiori opere di ingegneria idraulica mai realizzate in Italia viene raccontata dalle mille voci che intorno al lago vissero o lavorarono, lo venerarono come fluido dio o lo prosciugarono fino all’ultima goccia.
Un gran cerimoniere e una governante accolgono il pubblico e lo preparano al viaggio attraverso i corridoi e le stanze del palazzo; a piccoli gruppi gli spettatori attraversano spazi e insieme memorie, scandite da tempi diversi e complementari. Alle storie del lago e degli dei che lo abitavano, si alternano quelle del ‘grande seccatore’ Torlonia e della sua famiglia, e le ambizioni dell’imperatore Claudio con la più grande naumachia di tutti i tempi, realizzata nel 52 d.C.con 100 navi e 19.000 schiavi. Ma i traghettatori del viaggio nelle stanze del tempo, quelli che nelle stanze hanno voce per raccontare, non sono né gli imperatori e nemmeno i principi che vollero e diressero i lavori, ma sono figure tra il reale e l’immaginario, rappresentanti di umanità vasta e divinità minori; sono coloro che l’opera l’hanno realizzata eppure subita, che hanno toccato con le loro mani l’acqua e poi la terra, ma nessuna delle due gli è mai appartenuta.
Operai scavatori, semidei scivolati via dal mondo insieme alle acque del lago, camerieri e maggiordomi di casa Torlonia, custodi del fuoco, voci, immagini e personaggi di un lago che non c’è più, che si muovono tra le mura di un’antica residenza, come eco profonda di un tempo remoto ancora presente.
Una memoria collettiva scandita da un tempo frammentato e rimodulato, ogni volta diverso ad ogni passaggio di stanza e di luogo; un viaggio quindi che restituisce l’immagine di un Abruzzo arcaico eppure al centro di profondi processi di innovazione, un Abruzzo comunque sempre distante dalla percezione emotiva dei più, eppure in grado trasformarsi e rinnovarsi nella sua stessa natura.