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Pubblicato il 21 Gennaio 2008

LE LACRIME AMARE DI PETRA VON KANT AL COMUNALE DI L’AQUILA

TSA Comune di L’Aquila ATAM

Stagione Teatrale Aquilana 2007/2008

Giovedì 31 gennaio ore 21,00 turno A
Venerdì 1 febbraio ore 21,00 turno B
Sabato 2 febbraio ore 16,30 turno C
Domenica 3 febbraio ore 16,30 turno D

TEATRO STABILE DELL’UMBRIA – FONDAZIONE TEATRO STABILE DI TORINO
LE LACRIME AMARE DI PETRA VON KANT
di Rainer Werner Fassbinder
traduzione Roberto Menin
regia di Antonio Latella
scene e costumi Annalisa Zaccheria
disegnatore luci Giorgio Revasi Ripa
suono Franco Visioli
con Laura Marinoni
e con Silvia Ajelli, Cinzia Spanò, Sabrina Jorio, Stefania Troise, Barbara Schroer
e gli animatori di ombre Massimo Arbarello e Sebastiano Di Bella

in collaborazione con il Théatre National Populaire TNP Villeurbanne – Lyon

E’ tra le più frequentate degli ultimi anni dal pubblico aquilano la stagione teatrale
che il Teatro Stabile d’Abruzzo, con la collaborazione dell’ATAM, organizza nel Teatro Comunale di L’Aquila, 10.259, infatti, sono le presenze rilevate per i primi sei spettacoli, con una media di 428 spettatori a serata. Un trend che testimonia l’impegno profuso dalla direzione artistica di Federico Fiorenza, la vivacità culturale della Città di L’Aquila e l’alta qualità degli spettacoli in programmazione.
Ed è di assoluto prestigio la produzione che va in scena da giovedì 31 gennaio alle ore 21.00, sempre presso il Teatro Comunale di L’Aquila: “Le lacrime amare di Petra Von Kant”, uno dei migliori drammi di Rainer Werner Fassbinder, l’enfant terrible della drammaturgia e cinematografia tedesca contemporanea, per la regia di Antonio Latella. Lo spettacolo si avvale dell’intensa interpretazione di Laura Marinoni con Silvia Ajelli, Cinzia Spanò, Sabrina Jorio, Stefania Troise e Barbara Schroer.
“Per raccontarci la donna – scrive il regista Antonio Latella – Fassbinder sente la necessità di chiuderla nella sua casa, quasi come se isolandola riuscisse ad evidenziarne tutti i suoi lati, compreso il virus che l’ha contagiata. La donna diventa nell’immaginario fassbinderiano una proiezione, un ideale, un’icona, una gigantografia, una mappa dei sentimenti. Il suo corpo diventa la casa da abitare, esplorare, invadere, conquistare, dominare, governare … tentativi inutili, perché la donna di Fassbinder resta unica e inafferrabile, anche per la donna stessa. La donna non può essere posseduta ma solo amata, totalmente, senza mezze misure. Amore assoluto, mortale.
Una donna è la sua casa . L’ossessione di un ruolo, un posto, un luogo nel mondo.
Quattro pareti di un interno borghese. Ghiaccio. Petra non varca mai la soglia, resta confinata nel suo isolamento, quasi come se fosse impossibilitata a muoversi. La sua casa è il suo tutto (ufficio-laboratorio-confessionale-atelier-album di famiglia-riposo-gioco-tomba-fossa comune dei sentimenti). Nessuna emozione forte, la passione manipola i comportamenti umani, tutto deve essere filtrato dalla testa; chi si lascia andare alle passioni è debole agli occhi della società. Tutto diventa rappresentazione. Ripetizione di regole, forme, di una partitura dalle forti tinte borghesi.
Tutto è prevedibile, riconoscibile, ancor prima dell’essere detto o fatto.
Come dice Fassbinder: “Non esistono vicende vere. Il vero è artificio”.
Per rompere l’alienante corteo funebre di una inevitabile morte quotidiana, Fassbinder introduce nella cella della regina madre un elemento sconosciuto, non ‘infetto’ e per questo senza regole, pronto a tutto per conquistarsi un ruolo.
Il nuovo attrae e paralizza, ci destabilizza, ma ci costringe ad agire, ad uscire (non fuori dalle mura, ma fuori da noi stessi) per rimettere l’amore in corpo e tornare ad essere protagonisti del proprio sogno d’amore; il nuovo è l’ossigeno necessario per andare oltre le pareti di una casa, oltre l’asfalto di una strada più volte percorsa. E così Petra si getta senza pensarci nelle braccia del vuoto (karin) per inseguire o, forse come Fassbinder, per ripercorrere con tanta disperata ostinazione quell’utopia probabilmente infantile e impudente che si chiama (amore). Nei fiumi dell’alcool finalmente la parola trova sangue, riacquista il suo valore arcaico e il non detto può finalmente essere ripetuto, urlato senza alcun pudore: “Ti amo. Ti amo. Ti amo.”. Stillicidio che ripercuote la stessa pelle di un corpo vuoto per recuperarne il senso, riempirne il suono. La parola ritrova l’utero, la pancia, la casa.
Le quattro pareti diventano il manifesto “il non avere utopie è un’utopia”; diventano un luogo metaforico; uno spazio mentale che rende concreta l’illusione, anzi la ingigantisce, ne fa quasi un mostro che fagocita il reale, rendendolo ombra priva di corpo; proiezione di una vita. Le pareti diventano la placenta di un luogo primordiale, quasi onirico, dove tutto è possibile, dove non si ha più nessuna remora a seguire un impulso, dove le parole sono fili di un tessuto prezioso, si tendono, si intrecciano per tessere una trama, una ragnatela, dove la vittima si fa carnefice e il carnefice si fa vittima di se stesso. La forma perde la cortesia e diventa ostentata istallazione di un sentire primordiale, la parola torna ad essere femmina, liberandosi definitivamente della sua terroristica ‘oppressione’. In questa sovraesposizione, in questo gioco di violente luci e ombre, il testo taglia nettamente le appendici che lo datano, e recupera il suo valore tragico, il suo essere tragedia moderna, il suo essere melodramma. I corpi perdono i costumi, i ruoli e si rivestono di intimo. Il privato diventa la pelle in cui ritrovarsi ed imparare ad accettare la maschera della propria tragica esistenza. Così le lacrime si fanno simbolo, sintesi artistica, dell’ amarezza del vivere”.
Uno spettacolo forte, intenso, di grande impatto visivo, da non perdere, repliche venerdì 1 febbraio alle ore 21.00, sabato 2 febbraio alle ore 16.30, domenica 3 febbraio alle ore 16,30.