LE INVISIBILI


Giovedì 2 aprile ore 21,00
turno A

Venerdì 3 aprile ore 21,00 turno B

Sabato 4 aprile ore 16,30 turno C

Domenica 5 aprile ore 16,30 turno D

TEATRO STABILE d’ABRUZZO
in coproduzione con Società per Attori
in collaborazione con Smileagain

Le Invisibili
storie di femminilità violate
drammaturgia di Emanuela Giordano e Lidia Ravera

dal libro "Sorridimi ancora" – Giulio Perrone Editore

regia di Emanuela Giordano

con MADDALENA CRIPPA,
Claudia Gusmano, Sabrina Knaflitz, Carolina Levi, Serena Mattace Raso, Antonia Renzella, Laura Rovetti, Federica Stefanelli

Il Teatro Stabile d’Abruzzo e la Società per Attori, in collaborazione con Smileagain, un’associazione che da anni si batte contro l’acidificazione delle donne nei paesi asiatici, presenta lo spettacolo "LE INVISIBILI" ispirato al libro "Sorridimi ancora • dodici storie di femminilità violate" edito da Giulio Perrone Editore. Si tratta di testimonianze dirette di giovani indiane, pakistane, nepalesi e del bangladesh, il cui volto è stato devastato da un acido corrosivo che è stato gettato loro addosso da fidanzati respinti o mariti scontenti, secondo una pratica aberrante ancora in uso in molti paesi. La collaborazione dell’Amministrazione Provinciale di L’Aquila con "Smileagain" è iniziata anni fa con l’incontro di una di queste donne, Fakhra Younas, che ha avuto il coraggio di denunciare gli abusi subiti e di raccontare pubblicamente la sua storia. Attraverso incontri ufficiali in Pakistan si è sviluppata una collaborazione al fine di realiz-zare campagne informative ed un progetto d’intervento. Un gruppo di donne pakistane è già stato ospitato in Italia, hanno avuto tutto il sostegno necessario per sottoporsi ad interventi di chirurgia plastico-ricostruttiva, alcune di loro hanno frequentato corsi per la formazione di personale specializzato in grado a sua volta di trasferire in Pakistan le conoscenze acquisite.La realizzazione di questo spettacolo vuole contribuire a dar voce a chi non ha strumenti per reclamare la propria dignità di persona. Un teatro civile, come momento di riflessione e confronto.

Note di scrittura
Saira ha quattordici anni, viene punita per la pochezza della sua dote.Nasreen e Nassera hanno la stessa età, non si volevano sposare.Tasneem è andata a trovare la madre senza il permesso del marito.Mumtaz si è rifiutata di vendere la figlia.Shanaz non ha abbassato gli occhi quando avrebbe dovutoSabra voleva continuare a studiare.Di altre non si sa, è successo, molti di questi casi non finiscono neanche in tribunale o sui giornali. All’improvviso qualcuno della loro nuova famiglia, qualcuno che conoscevano bene, qualcuno che le avrebbe dovute accogliere e proteggere, ha lanciato un acido corrosivo sul loro volto. L’acido ha bruciato gli occhi, il naso, la bocca. Non esiste più un viso, non esistono i colori e i suoni, non esiste ragione di vita. Molte sono morte.Questi sono i fatti. Accadono milioni di ingiustizie nel mondo, ogni giorno siamo sopraffatti, ancora oggi, da atrocità perpetuate da secoli con bestiale ripetitiva ossessione. Ci sono decine di guerre in corso che coinvolgono le popolazione civili. Etnie di una stessa terra si massacrano a vicenda. In nome di religioni e di ideologie si compiono stragi. Dietro ogni strage c’è un mercato delle armi. Con tutto quello di cui ci sarebbe da parlare, con tutti i temi che potremmo approfondire, con tutti gli scandali che dovrebbero essere denunciati perché perdere tempo con le storie di qualche migliaio di ragazze a cui la mano di un fidanzato, di un marito o di un altro parente ha tolto bellezza e salute, l’unica cosa di cui potevano disporre? Sono storie lontane, accadute in paesi dai nomi difficili. Storie che non appartengono ad un clan, ad una casta, ad una lobby, ad una razza, ad una religione, ad un partito, ad una etnia. Non muovono voti, interessi, mercati. Sono storie invisibili di ragazze invisibili.È questa, quindi, già una buona ragione per parlarne. Dare voce a chi non ce l’ha. Ma c’è dell’altro. Questi racconti sono l’espressione di un male antico, il male che è all’origine di ogni altro male, la sopraffazione del più debole, di chi non ha potere e denaro, di chi non ha gli strumenti per ribellarsi: donne, donne bambine, trattate come cani, peggio dei cani, oggetti di scambio, oggetti di violenza sessuale, oggetti in balia di una bestialità primordiale riconoscibile in tante società, in tante culture, anche nella nostra, non più tardi di ieri e forse non ancora estinta.All’origine c’è il desiderio di dimostrare di avere potere, punire vuol dire disporre del destino di un altro. Punire per punire, per dimostrare a se stessi e alla famiglia che conti qualcosa per il semplice fatto che c’è qualcuno che conta meno di te. L’insensatezza del male, della gratuità del male di queste storie ci ha devastato, ci ha costretto a porci delle domande. Per noi non è stato facile parlarne, trovare una chiave di comunicazione teatrale. È preval-so, all’inizio, il pudore, la paura di dar vita, anche se in buona fede, ad una "operazione" furba, un teatro del " dolore" come per un certo tempo abbiamo avuto la tv del " dolore" Solo all’idea ci sono venuti i brividi, il panico, la nausea. Con inclemente sincerità nei confronti, prima di tutto, di noi stesse, abbiamo raccontato il nostro approccio con questo tema, da donne occidentali, privilegiate, orgogliose della nostra femminilità ma anche segnate dalla difficoltà e dalle discriminazioni che comporta ancora essere una donna. Le storie scelte sono tutte tratte da testimonianze vere. Ho immaginato che fosse un racconto corale, epico, di bellezza, di candore, di divertim-ento, imbrigliato nelle illusioni e anche nelle sciocchezze universalmente adolescenziali per approdare poi all’esperienza terribile di matrimoni combinati, dove la parola dignità e rispetto non è neanche contemplata .Un racconto di donne bambine che presto perderanno il piacere del gioco e del sogno. Cosa si può fare per loro? Moltissimo. Il problema è sempre lo stesso: volerlo veramente. Grata e orgogliosa di una precedente esperienza ho chiesto a Lidia Ravera di aiutarmi a scrivere questo racconto teatrale, da sola mi sentivo sopraffatta dai dubbi, le ho chiesto di porsi come "testimone", come voce "nostra", mia, sua, di tutti noi, per cercare di capire qual è il filo che lega la nostra vita alla loro.

Note di regia
Ho immaginato un luogo isolato, una zattera, un grande letto, una cuccia..
Lascio alla memoria di ciascuno la capacità di ricollocare questo spazio nella propria adolescenza.
Io ricordo notti di veglia, cibo e risate tra amiche ed estranee divenute subito amiche (almeno per il tempo di una notte). Notti di confidenze, rivelazioni, cretinerie, disordine di indumenti sparpagliati e umori caldi, odori rassicuranti, qualcosa che ha a che vedere con l’anarchico pigolio di un nido. Non so se gli uomini, da ragazzi, hanno la stessa attitudine all’illusione di un’intimità che scalda e sostiene. Quando fanno gruppo a volte finiscono per fare branco che è tutta un’altra storia. Per il resto confessano molta solitudine.Ho immaginato che questa intimità tutta femminile avesse una grazia leggera, sincera, rude, senza fronzoli e leziosità, ma grazia, incanto.Poi arriva per alcune di loro una proposta di matrimonio o direttamente le nozze, combinate, e l’incanto si fa beffa. Molto presto. A quindici, sedici anni.Il racconto non è più un chiacchiericcio condiviso, un canto corale, è la cronaca di una gelida condizione di solitudine. Infine la notte e il buio. Il buio di occhi bruciati. Ancora una volta, sperando di esserci riuscita, ho cercato nella sottrazione, bandendo ogni effetto, il teatro che più amo, di cui mi importa davvero.

Emanuela Giordano

 

La locandina