Giovedì 1 febbraio ore 21,00 turno A
Venerdì 2 febbraio ore 21,00 turno B
Sabato 3 febbraio ore 16,30 turno C
Domenica 4 febbraio ore 16,30 turno D
DIANA OR.I.S.
IL MEDICO DEI PAZZI
di Eduardo Scarpetta
regia di Carlo Giuffrè
con Carlo Giuffrè
e con Piero Pepe, Monica Assante Di Tatisso, Rino Di Maio,
Antonella Lori e Aldo De Martino
scene di Aldo Buti
costumi di Giusi Giustino
musiche originali e arrangiamenti di Francesco Giuffrè
Quest’anno metterò di nuovo in scena “Il Medico dei Pazzi” un’altra commedia di Eduardo Scarpetta e certamente ci sarà ancora qualcuno che mi domanderà perché non recito teatro italiano e io naturalmente risponderò che lo faccio ormai da trenta anni. Come, Scarpetta teatro italiano? Certo perché il teatro di Scarpetta fa parte della grande commedia dell’arte che è stata fonte del teatro universale; proviene dalle atellane: dalla fabula ridens, antica farsa di origine osca che fiorisce nel II secolo a.c. ad Atella, piccolo centro fra Capua e Caserta. Poi c’è la commedia plautina e via via nasce la commedia dell’arte, nascono quei grandi comici che fecero dire a Moliere “devo tutto ai commedianti italiani” quando nel ’600 quei comici andavano a recitare alla corte francese. C’era Silvio Fiorillo grande Pulcinella; suo figlio Giovanni Battista che ebbe grande successo come primo zanni con la maschera di Trappolino; Tiberio Fiorilli che interpretava Scaramuccia. Questo e tanto altro era la commedia dell’arte che si svolgeva soprattutto fra la Campania e il Veneto (Pulcinella e Arlecchino). Questo nostro grande teatro a metà del ’700 fu bloccato dall’avvento del melodramma, dell’opera buffa prima con Paisiello, Cimarosa, Mercadante e poi tutti gli altri che si affermavano a discapito del teatro di prosa. Queste sono le due nostre grandi realtà: la commedia dell’arte e il melodramma. Più tardi dalla metà del ’700 non ci furono più autori, non c’è più drammaturgia. L’800, come dice Silvio D’Amico, è un secolo buio. Da Goldoni a Pirandello passano due secoli e Pirandello era un novelliere, un filosofo, non un autore di teatro.
Furono Capuana e Martoglio che lo convinsero a scrivere qualcosa per un bravissimo attore siciliano, Angelo Musco e Pirandello scrive per lui alcune commedie in dialetto siciliano. Poi in seguito rinnoverà il teatro di prosa italiano specialmente dopo l’incontro con Marta Abba per la quale scriverà quasi tutte le commedie perché vide in lei l’attrice ideale per il suo teatro. Scriverà una lingua squisitamente teatrale, una lingua che comunque contiene radici siciliane.
Insomma questo è il teatro italiano, sempre e solo il dialetto, il napoletano di Altavilla, Petito, Scarpetta, De Filippo ecc.; il veneto di Ruzzante e di Goldoni; il toscano di Machiavelli, di Bibbiena e Pietro l’Aretino. Quei pochi autori come Rovetta, Giocosa., D’Annunzio e poi De Benedetti, Fabbri o Patroni Griffi, anche se hanno scritto qualche pregevole commedia non hanno certo fornito una drammaturgia universale da esportazione. Il teatro che si recita in lingua italiana è teatro tradotto da altre culture e quindi non ci appartiene completamente. È un teatro meraviglioso quello di Shakespeare, di Moliere ed altri, ma noi da quasi tre secoli importiamo teatro d’altri. Gli inglesi che non hanno avuto musica, hanno dagli elisabettiani in poi, ogni secolo ricco di grandi autori, da Shakespeare a Pinter, Ayckbourn, Stoppard, Schaffer, Frayn, autori moderni e quindi continuano ad esportare teatro per tutti. Così come i francesi, da Racine a Moliere, Corneille e tutti i bouleverdier: Courteline, Feydeau, Labiche, teatro tradotto in tutte le lingue. Perfino Scarpetta, dato il vuoto che c’era da noi, ha usato pochade francesi che traduceva e riduceva in napoletano ed era l’unico teatro che resisteva allo strapotere del melodramma. Petito, ultimo grande Pulcinella maestro di Scarpetta, apre un teatro a Napoli e lo chiama San Carlino per parodiare il San Carlo, teatro del potere.
Noi non abbiamo teatro da esportare tranne Pirandello e qualche commedia di Eduardo. Recitiamo teatro straniero, provate a leggere in qualsiasi teatro italiano, l’elenco delle commedie in programma, su dieci titoli, otto sono di autori stranieri e solo due italiani (Goldoni o Pirandello). È questa la ragione della crisi del nostro teatro. Se gli inglesi avessero dovuto come noi importare l’ottanta per cento di autori stranieri, avrebbero la stessa nostra crisi e non avrebbero come hanno teatri pieni e tanti autori che continuano a raccontare la loro storia, quella dei loro re e delle loro regine. Certo si confrontano anche con Moliere, Pirandello, Cechov, ma hanno soprattutto una loro identità drammaturgica. È una questione di cultura autoctona. È bello, interessante lo scambio culturale… ma noi traduciamo e recitiamo anche testi con tematiche spesso lontane da noi che non ci trasmettono emozioni. E al contrario accade all’estero anche con una grande commedia italiana, come “Natale in casa Cupiello” la più bella commedia di Eduardo è quella meno rappresentata all’estero, la meno tradotta: perché quella magnifica metafora rappresentata dal presepe (l’utopia, la fuga dalla realtà, un mondo buono e pulito), a loro non arriva perché non conoscono il presepe. A proposito invece, non vi pare che il dramma dei figli di Luca Cupiello o di Filomena Marturano a noi ci tocca e ci commuove molto più del dramma delle figlie di Re Lear?
Io da tanti anni sto riesumando testi che riguardano la cultura italiana. Si perché le disgrazie, le avventura di Arlecchino sono le stesse di Pulcinella, di Pantalone, di Gianduia, Tartaglia… tutta la straordinaria, drammatica comicità degli Zanni, delle maschere è rimasta miracolosamente nel D.N.A. degli italiani e riaffiora quando dopo aver subito le storie di Charlie, di Peter, di Mary, arrivano in scena personaggi che si chiamano Luca Cupiello, Concetta, Gennaro, Amalia e Sciosciammocca (maschera inventata da Scarpetta per umanizzare Pulcinella). Credetemi il pubblico è più coinvolto, riceve emozioni più forti, si crea davvero un’osmosi fra platea e palcoscenico e questo vi assicuro non accade sempre quando si recitano commedie tradotte in “lingua italiana”, io lo so bene perché nella mia lunga carriera ho frequentato l’uno e l’altro teatro. Sapete qual è la commedia italiana che da mezzo secolo gira il mondo, la più vista di tutte? “Arlecchino servitore di due padroni” di Goldoni in stretto dialetto Veneto, così la volle Strehler, non tradotta in italiano. Io da trent’anni sto “restaurando un repertorio otto-novecentesco non accantonabile, da Petito a Curcio e a mantenerlo vivo nella coscienza e nel cuore degli spettatori, con un’identificazione e una dedizione crescenti e al tempo stesso con un marchio costante e inconfondibile di intelligenza critico-storica e di severa, misuratissima originalità espressiva”. Il virgolettato è tratto dalla motivazione del premio “Renato Simoni” che ho ricevuto dalla critica nel 1999. Scusate la vanità, ma di questo premio sono orgoglioso perché io recito teatro italiano. E quindi posso assicurarvi che il “Medico dei Pazzi” sarà un altro spettacolo da non accantonare, ma da restaurare e divulgare. Anche quest’anno vi racconterò le divertenti e folli avventure di don Felice Sciosciammocca, un’altra commedia che spero resterà viva nella coscienza e nel cuore degli spettatori.
Su il sipario e buon divertimento
Carlo Giuffrè