Venerdì 20 aprile ore 21,00 turno A
Sabato 21 aprile ore 16,30 turno C
Sabato 21 aprile ore 21,00 turno B
Domenica 22 aprile ore 16,30 turno D
TEATRO STABILE DI CATANIA
IL MAESTRO E MARTA
novità assoluta di Filippo Arriva
regia Walter Pagliaro
con Virginio Gazzolo, Mariella Lo Giudice, Valentina Bardi,
Gianfranco Alderuccio, Giuseppe Infarinato, Davide Sbrogiò,
Pamela Toscano, Serena Mazzone
scene Giovanni Carluccio
costumi Alberto Verso
musiche Germano Mazzocchetti
video Luca Scarzella
coreografie Silvana Lo Giudice
Una storia importante, anzi immensa, mai banale, quella che per undici anni legò fino alla morte Pirandello a Marta Abba. Una storia moderna, dove la testa fu più importante del corpo, e per ciò solo straordinaria. Una storia sempre palpitante, come rivelano i documenti inequivocabili di un intenso carteggio da cui emerge l’amore di lui, il rispetto di lei.
L’amore di lui dilaga nelle cinquecento e più lettere inviate alla diletta. Bisogna però sapere leggere tra le migliaia di pagine, il fiume delle parole. E il sessantenne Maestro, antesignano del moderno intellettuale europeo, fin da studente viaggiatore dinamico, non apparirà così piagnucoloso, attivo com’era pur alla sua età, costretto dagli eventi a vivere da solo, e da solo recarsi sempre più spesso all’estero, quasi in volontario esilio.
Il rispetto di lei è parimenti rimarchevole, e ingiusto sarebbe vedere in Marta un’arrampicatrice. A motivarla non furono i soldi, né la carriera, che anzi risultò abbastanza ostacolata dalla sua privilegiata se non esclusiva devozione al verbo pirandelliano. Né coltivò in quel decennio altri legami, giungendo a convolare a nozze solo due anni dopo la morte di Luigi.
Quando, per sostenere le sorti della compagnia teatrale, Marta Abba decide di ribattezzarla con il proprio nome, quando adotta toni da imprenditrice meneghina, è perché parla in lei l’accorta figlia di commercianti, che usa naturalmente parole che hanno e danno il senso della praticità. Se a volte, per lettera, sembra volere interporre una rassicurante distanza di sicurezza, è perché ad una creatura invasiva di tale spessore vuole contrapporre una sua propria personalità. Tanto più che Marta, sebbene «fulva e di meravigliosa bellezza», come la descrive il suo fervido innamorato, era donna non frivola, che non si atteggiò né ebbe mai fama di seduttrice, preferendo dare piuttosto prova di grande intelligenza.
E che dire di lui, coerente e lodevole fino alla commozione in quella consapevolezza di non poter prendere tutto quello che gli si offriva, di non poter condizionare una vita tanto più giovane? Per la morbosità c’è poco spazio allora, in un rapporto, ribadisco, tutto di testa. «Non c’è nulla da aggiungere», dirà Marta Abba a proposito della lettere. «È tutto là, chiaro».
L’incantamento reciproco durò probabilmente pochi mesi, dal primo incontro della primavera 1925 fino all’ottobre dell’atroce notte di Como, in cui forse fu chiaro ad entrambi che il gioco delle parti non consentiva di vivere pienamente la passione. Succede d’invaghirsi per poco e poi perdersi. Il loro legame era invece destinato a consolidarsi sul piano umano e a conoscere la solidarietà di momenti drammatici, come a conclusione della lunga permanenza a Berlino, quando lo scrittore, solo e depresso per la partenza di lei, giunse a prospettare il suicidio inducendola nuovamente a raggiungerlo.
Nella messinscena, in sinergia con tutto lo staff, ho cercato di ricostruire la dialettica di questa relazione, imponendomi di rispettare lui e lei. Era soprattutto importante problematicizzare il materiale epistolare. Da qui l’idea di immaginare che sul palco agisca un’articolata équipe – studiosi universitari, critici, attori, registi che analizzano una quantità di materiali, si avventurano in simulazioni e fantasticherie, cercano di interpretare le confessioni ma pure le reticenze, le cose non dette, dietro cui affiora la solitudine in cui può trovarsi un intellettuale anche oggi, sotto la scossa di eventi storici importanti. Un artista avanti negli anni dentro il quale emerge il forte sentire di una passione che si sublima e si fa linfa per la creazione.
La scena rappresenta un contenitore metaforico, tappezzato dalle migliaia di facciate che compongono il carteggio, ma anche i copioni firmati da Pirandello in quegl’anni, a testimoniare in entrambi i casi la sua immensa vitalità di scrittore, la cui vita è proprio lì, nella pagina scritta. Il palcoscenico vuoto è così la culla del suo pensiero e ospita al centro lo schermo per la proiezione dei filmati, scelta connaturata alla parabola artistica dei due personaggi, laddove per Pirandello – seppur assertore della superiorità del teatro – il rapporto con il cinema fu una proficua costante, mentre per la Abba costituì addirittura una meta agognata.
Quelli sulla scena siamo noi, in costumi moderni, i contemporanei che studiamo le varie stagioni di un’affettuosa amicizia: il filmato è il posto mimetico della nostra simulazione, che consente di ricreare somiglianze inquietanti, esaltare la fantasia attraverso i costumi d’epoca e la reiterazione del doppiaggio.
Ho cercato così un concreto equilibrio, ricordandomi dei suggerimenti di Starobinski, che da fine esteta raccomanda di avere nei confronti dell’opera d’arte un atteggiamento oscillatorio, ad imitazione del pendolo, in modo da porsi alternativamente ora molto vicini per cogliere i dettagli, ora molto lontani per carpirne la profondità.
Guardare questa o altra liason troppo da vicino, significa perdersi nella cronaca del pettegolezzo, starne troppo lontani comporta il rischio dell’astrattezza.
Una situazione, come questa, di tipo introspettivo, richiedeva da un lato di lasciar trasparire il linguaggio degli occhi, attraverso primi piani che soltanto il cinema può dare; dall’altro era importante consentire l’oggettività di valutazione che la fonte documentale e la distanza temporale possono garantire.
Tuteliamo così la memoria di Marta, attrice di storica levatura e donna devota. E rispettiamo un genio che finalmente si svela in prima persona e ci appare come uno di noi, con debolezze e angosce: proprio lui che con il suo teatro e la sua narrativa ci ha insegnato a guardarci dentro.
Walter Pagliaro