Con la messa in scena di "Il cerchio di gesso del Caucaso", Benno Besson ritrova il teatro dell’amico e maestro Bertolt Brecht, dal cui mondo poetico non si è mai separato dal 1948, quando lo incontrò a Zurigo, un anno prima di raggiungerlo al Berliner Ensemble. E lo fa attraverso una favola che ha visto personalmente nascere a Berlino, nel 1954 (dieci anni dopo la sua prima stesura), e che ha già più volte portato sui palcoscenici europei, sempre come se fosse una commedia scritta in quel momento, capace di parlare con forza e immediatezza della contemporaneità.
L’apologo si articola in due racconti paralleli, destinati a convergere in una morale particolarmente cara a Bertolt Brecht: le cose, come gli affetti personali, appartengono non a chi ne rivendica la proprietà per casta o per sangue, ma a colui che ne ha avuto cura e ha permesso loro di crescere.
Da una parte, pertanto, c’è la storia del nobile figlio del governatore di un villaggio della Georgia, abbandonato nel corso di una rivolta di palazzo e amorevolmente allevato dalla serva Groucha, la quale si rifiuta di riconsegnarlo alla madre naturale, quando questa viene a reclamarlo; dall’altra, quella del giudice Azdak, mentitore matricolato e ubriacone, portato dagli sconvolgimenti politici su un trono da cui emana sentenze "stravaganti", in questo caso improntate a un’idea salomonica della giustizia. Benno Besson, che torna per la settima volta a dirigere uno spettacolo per il Teatro di Genova, ha scelto di mettere in scena questa favola etico-sociale, portando in primo piano la dimensione più arcaica ed emblematica del racconto, e puntando sulla leggerezza e sulla semplicità del gioco teatrale. Dal rispetto dell’intelligenza e dalla voglia di divertire il pubblico discende l’uso sapiente delle maschere e la fedeltà alla compagnia degli attori, con uno straordinario Lello Arena in primo piano.