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IGIENE DELL’ASSASSINO

Il romanzo "Igiene dell’assassino", di Amélie Nothomb, esce nel 1992 e diventa immediatamente il caso letterario dell’anno. Il premio Nobel per la letteratura Prétextat Tach è affetto dalla rarissima "sindrome di Elzenveiverplatz", un cancro alle cartilagini (il nome è inventato dall’autrice) che gli lascia solo due mesi di vita. La stampa di tutto il mondo implora un’intervista con lo scrittore, che da anni vive in una pressoché totale solitudine. Il segretario di Tach fissa un incontro al giorno, a cominciare dal 14 gennaio del 1991 (sta per scadere l’ultimatum per la prima guerra del Golfo), ma i giornalisti che via via si succedono non riescono a completare l’intervista, distrutti e cacciati dalla spietata dialettica dello scrittore cinico, intollerante e provocatore. Il 18 gennaio si presenta una giornalista: è Nina, capace di dare del filo da torcere all’intellettuale misantropo e misogino, in una sfida dai dialoghi mozzafiato. A differenza dei precedenti, Nina ha letto tutti i romanzi dello scrittore e, pronta ad
affrontarlo, persegue uno scopo preciso: riesumare il passato di Tach, ispirata dal suo unico racconto lasciato incompiuto e presumibilmente autobiografico, intitolato proprio "Igiene dell’assassino". E quando la donna invita il vecchio scrittore a parlare della persona a lui più cara, ecco che il pensiero di Prétextat va a Léopoldine, la cuginetta del cuore con cui da bambino ha condiviso l’età più bella. Impregnati del comune rifiuto di divenire adulti, i due bambini hanno vissuto un periodo paradisiaco, ma Prétextat ha finito per uccidere Léopoldine, evitandole la degenerazione dalla perfezione dell’infanzia.
Dopo averla strangolata, tuttavia, Tach non ha tenuto fede alla promessa, è diventato adulto, portando addosso la maledizione di un bambino decaduto che abbandona l’età della verità e dell’autenticità esplicitando nell’età della ragione una forma estetica di tipo sinistro, che elimina la presenza di una donna e quindi non prevede la riproduzione della vita, per cominciare una creazione artificiale di figli di carta: i suoi libri. Se scrivere assume il valore di creare un’opera, nel caso di Amélie Nothomb equivale soprattutto a creare se stessa, a maggior ragione quando alla messinscena dell’autoconcepimento letterario si giunge attraverso un’uccisione inventata. Tach, in questa logica, è emanazione della scrittrice e nient’altro che una sua derivazione: un personaggio ipercangiante attraverso il quale avviene l’incontro con un nemico interiore, con quella parte nascosta che realizza il momento della resa dei conti. La dipendenza dal mondo degli altri si traduce in una sudditanza che viene scalzata con l’indipendenza dell’Io che annuncia di volersi nella morte.
In questo senso, di fronte all’impossibilità di portare in superficie l’estremo nella vita reale, la creazione di carta dà vita a un personaggio che riesce ad andare fino in fondo assumendo potenzialità che prendono il posto dell’essere reale e agiscono con coerenza fino alla fine. In ogni risentito rifiuto di comunicare nella realtà da parte dell’individuo si nasconde, secondo Girard, una volontà negata di rivelare il proprio desiderio di essere desiderati dall’altro. E che cosa rappresenta l’omicidio (sia pure della creatura inventata dalla scrittura), se non un tentativo celato di ristabilire un contatto con gli altri?

Nota di regia
Quando diventa possibile allestire uno spettacolo su testi contemporanei è sempre un momento importante, che è sintesi di vivacità, ma anche di apertura intellettuale e lungimiranza di chi mostra interesse alla rappresentazione di parole che nascono oggi. Parole, sì: come spesso dice la Nothomb, lei "partorisce" le sue opere, come se fossero davvero figli di carta, lasciando tracce in ogni suo romanzo di qualcosa di autobiografico.
Prétextat Tach vive in uno stato di stallo. Il suo tempo è fermo, il suo ultimo romanzo pubblicato è incompiuto. Anziché optare per una scenografia che fosse lo squallido appartamento di un uomo profondamente polemico che non ha alcuna cura né del suo aspetto, né della sua arte, si è preferito, puntualizzare l’aspetto mentale dando la sensazione di un interno attraverso 2 pareti a 90 gradi volutamente in disequilibrio, sommerse da mobili e oggetti che non hanno alcuna personalità. Pareti che ricordano un libro aperto, il suo Libro. Il pavimento è un foglio/tappeto scritto a macchina, disteso sul palcoscenico.
L’appartamento di Prétextat Tach è dunque una rappresentazione di scrittura, pagine-muro sulle quali scorrono frasi del libro non terminato dallo scrittore, quell’Igiene dell’assassino del premio Nobel per la letteratura che soltanto Nina è riuscita a intuire come autobiografico. "Volevo provare che potevo impunemente scrivere di me gli orrori peggiori: ecco un assassino che latita da quarantadue anni. I suoi crimini sono sempre stati ignorati ed è diventato uno scrittore famoso", dice lo scrittore: le verità più rischiose vengono scambiate per metafore, e la lettura diviene un’invenzione ironicamente meravigliosa, un gradevole passatempo da praticare a letto prima di dormire che rilassa e non sporca nemmeno le lenzuola.
Anche per questo, i precedenti giornalisti sono stati dialogicamente fagocitati e digeriti in un’esperienza che decreta la loro meschinità: il primo presumendo stupidamente di misurarsi audacemente con il genio, il secondo per un disgusto che Tach prova per la sua malafede, disgusto che porta lo scrittore a farlo vomitare al racconto di una dieta impossibile; il terzo per impudenza di scimmiottare con il colosso, il quarto perché ingrato. Prétextat Tach si mostra come l’implacabile sgretolatore con lucidissimo cinismo dell’altro da sé, anche se vive nel difetto di una totale cecità nei confronti di sé stesso.
Nell’allestimento, i finali registrati delle interviste tentate riassumono il fallimento di tutto quanto precede l’arrivo della giornalista impicciona. Prétextat. è un uomo che sta per morire. Costretto su una sedia a rotelle, appare esuberante e sgradevole in ogni suo aspetto, il suo enorme ventre è il centro del suo regno.
Ma Nina, la giornalista donna, ha in sé il germe ancora vivo dell’infanzia, quella curiosità (è una sporca impicciona, per Tach) che le fa indagare il mondo senza metafore interpretative, è terreno fertile perché ancora priva di malafede.
In questo senso, lo spettacolo si svolge come un vero e proprio confronto tra eserciti di parole, una sorta di arena in cui i personaggi si confrontano in un susseguirsi serrato di battute, fino al progressivo svelamento della realtà, attraverso lo scandaglio psicologico dell’intelligenza e, soprattutto, di quell’arte giocosa e lieve che è la scrittura. Leggerezza, sì, perché la Nothomb è capace di esprimere spesso concetti profondi con l’arte di chi sa anche provocare il riso, sono diversi i passaggi che destano ilarità. Al tempo stesso, il dialogo è parente prossimo dell’interrogatorio: "Altro non è che una forma privilegiata di tortura", è la stessa Nothomb ad affermarlo. Questo è uno spunto fondamentale per la messinscena.
Un’intervista apparentemente come altre si trasformerà via via in un percorso che ha le caratteristiche del giallo, con un dipanarsi dei concetti che mostri con l’evidenza dell’azione la rappresentazione delle idee stesse. Dunque, in questo senso, la sfida consiste nel realizzare un finissimo gioco dialettico in cui i due attori mettano in scena personaggi che mutano secondo la mossa scacchistica del momento, con un obiettivo di disvelamento della verità da parte di Nina, e quindi di vendetta, da un lato, e con un fine di fagocitazione di un soggetto degno del desiderio del modello-Tach dall’altro. Gioco ambiguo, alla fine del quale, la partita apparentemente vinta da Nina sull’immensità della parola del maestro di pensiero Tach è tuttavia anche trionfo di un suo desiderio di morire nella carne per ricrearsi sotto quell’angelo della vendetta che è Nina stessa.
Nel corso dell’agone dialettico tra i due contendenti, Nina disvela un’essenza particolare, muta con il trascorrere del confronto; lo scrittore è attento, osserva e scorge ogni cambiamento. Se si pensa a Léopoldine, l’adorata cugina di Tach strangolata nel momento del suo ingresso alla pubertà, oltre il romanzo c’è come un rapporto concettuale di sorelle tra Nina e Léopoldine che ricorda, nella biografia della Nothomb, il legame simbiotico e pseudo-gemellare tra l’autrice e la sorella Juliette. E nell’assassinio del premio Nobel, si compirebbe catarticamente quell’omicidio del rapporto più cerebrale che la scrittrice ha intessuto con il padre, con probabili matrici di rapporto tendenzialmente incestuoso con la madre. Sono categorie che ricordano enormi tematiche da tragedia greca, da mito. Ma il boia non è mai il più forte, ed è la stessa Notomb a dirlo.

Alessandro Maggi