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Pubblicato il 19 Agosto 2008

GABRIELE LAVIA A CASTELBASSO

CASTELBASSO Progetto Cultura

23 agosto ore 21,30
Gabriele Lavia
IL SOGNO DI UN UOMO RIDICOLO
di Fëdor Michajlovic Dostoevskij

Chi è ‘l’uomo ridicolo’? E’ un uomo del ‘sottosuolo’ , cioè di quell’inferno sulla terra abitato da dannati che vivono in cupa solitudine, indifferenza, livore, odio nei confronti degli altri. Essi si sottomettono alle pene di questo inferno,come per una fatalità crudele e misteriosa, e, a un tempo, conservano gelosamente un lucido senso della colpa che li condanna a vivere un’esperienza carica di esaltazione frenetica e sofferente.
E allora perché ‘ridicolo’? Perché differenza degli altri dannati quest’uomo ha scoperto il segreto della bellezza e della felicità, il segreto per ‘rimettere tutto a posto’. ‘Ama gli altri come te stesso’ ‘vecchia Verità che non ha mai attecchito’.. E appunto nell’assurda proposta d’amore per il prossimo si trova tutta la sua ‘ridicolaggine’. Ma, attenzione, quest’uomo ridicolo è consapevole dell’impossibilità di riuscita del suo progetto, eppure nel raccontare, nel ‘predicare’ la ‘vecchia verità’ trova il senso più profondo e l’unico scopo possibile della vita: mostrare la via di salvezza agli uomini pur sapendo che non vi è possibilità di riuscita e di vittoria.
L’uomo è infelice, ma questo non è il suo ‘stato naturale’, e la sua ‘naturale’ condizione non è la solitudine. Questi sono ‘stati’ e ‘condizioni’ culturali sopraggiunti quando la cultura della menzogna si è allontanata dalla natura della verità. Ma il destino ultimo dell’uomo è quello di realizzare una completa comunione con gli altri uomini che può avvenire soltanto attraverso l’annullamento della propria individualità e attraverso l’amore per il prossimo. ‘… Cominciò la lotta per la separazione, per l’individuazione, per la personalità, per il tuo, per il mio…’ . Dostoevskij vede nell’individualità l’origine e la causa dello spirito di separazione che c’è tra gli uomini e che ha trasformato la terra in un sottosuolo.
‘Il sogno di un uomo ridicolo’ è forse la più sconcertante opera di Dostoevskij. Nella situazione paradossale di un uomo che, decidendo di suicidarsi, si addormenta davanti alla rivoltella e ‘sogna’ il suicidio e la vita dopo la morte, lo scrittore, con una partecipazione sconvolgente e appassionata ci racconta come l’umanità si sia rovinata per sempre. E la coscienza che l’uomo non può vivere senza individualità significa che la condizione umana è senza via d’uscita.
Ho letto per la prima volta, questo racconto, a sedici anni.
A diciotto (non facevo ancora il teatro) ne tentai una messinscena con alcuni amici. Molti anni dopo (circa quindici anni fa) lo misi in scena a Spoleto, con un buon successo. Lo ‘ripresi’ la stagione successiva ma, nonostante il successo che lo spettacolo aveva, dovetti interrompere le repliche per una brutta bronchite.
Ora, dopo quindici anni, lo rimetto in scena. Qualcosa, o tanto, è cambiato dentro di me, attorno a me.
Il mio rapporto con le parole, con lo spazio, è cambiato. Ma come? Quanto?Dove? non lo so.
Un monologo è qualcosa di molto particolare e delicato e tutto o quasi tutto dipende dal rapporto che l’attore riesce a stabilire con lo spettatore. Dal suo respiro, del respiro del pubblico e da tante altre cose, piccole o piccolissime, troppo delicate, intime e misteriose, di cui, se non impossibile, forse, non è bene parlare: esse vanno a toccare il cuore di un mistero che è quello del Teatro e, come per tutti i misteri, porta male tentare di svelarli.
Quello che posso dire è solo la parte superficiale, visibile, della messa-in-scena di un racconto non scritto per il teatro. Essa si fonda tutta sull’idea del ‘doppio’ e della moltiplicazione dell’’Io’. Il mio desiderio è quello di rappresentare una umanità che si è condannata alla sofferenza, autoreclusa, serrata e costretta in una metaforica camicia di forza, vista come condizione e impedimento di ogni azione ‘buona’. Non c’è altra possibilità che raccontare, raccontare e ancora raccontare un pensiero allucinato e impotente.
Gabriele Lavia