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Pubblicato il 08 Maggio 2007

FRATELLI d’ ARTE Alberto, Marco e Piergiorgio Bellocchio

PRESIDENZA REGIONE ABRUZZO
TEATRO STABILE d’ABRUZZO
IX SETTIMANA DELLA CULTURA del MINISTERO BENI E ATTIVITA’ CULTURALI
in collaborazione con
ACCADEMIA DELL’IMMAGINE DI L’AQUILA

Presentano
FRATELLI d’ ARTE Alberto, Marco e Piergiorgio Bellocchio

La Presidenza della Regione Abruzzo e il Teatro Stabile d’Abruzzo, in collaborazione con l’Assessorato alle politiche regionali per i beni e le attività culturali e l’Accademia dell’Immagine, nell’ambito della IX settimana della cultura, dedicano un omaggio ai tre fratelli Alberto, Marco e Piergiorgio Bellocchio, tre personalità della cultura italiana, che operano da sempre nei più diversi ambiti. Alberto, ex-sindacalista, con gli strumenti della narrativa in versi; Marco, cineasta di fama internazionale, attraverso capolavori che ormai sono entrati nella storia del cinema; Piergiorgio, fondatore dei “Quaderni piacentini”, grazie alla sua attività di saggista e critico letterario. La ricostruzione dei loro tre diversi percorsi culturali, artistici e anche politici, è l’occasione non solo per analizzare la poetica e l’estetica dei tre fratelli piacentini, ma diventa anche il pretesto per dibattere di oltre quarant’anni di storia italiana.

L’omaggio – curato da Federico Fiorenza e Lara Nicoli – durerà quasi per l’intera settimana e si dislocherà tra il Teatro Comunale, la Sala celestiniana dell’Abbazia di Collemaggio e il Cinema Massimo. Tutti gli eventi sono gratuiti.
La manifestazione si articola in una serie di incontri, uno spettacolo teatrale, proiezioni e due mostre.


In principio fu Alberto

In principio fu Alberto. Era il 1968 e lavorava in una stanzetta minuscola al primo piano del palazzo della cgil. Dirigeva “Sindacato Moderno”, la rivista più bella che il sindacato italiano pubblicasse in quegli anni. Nelle sue stanze si riuniva una piccola assemblea di dirigenti della fiom che, con i metalmeccanici, avevano rapporti prevalentemente ideologici. C’era Marco Calamai, figlio dell’Ammiraglio Calamai e di una nobildonna ispanica, ingegnere licenziato dalla ibm per aver pubblicato, nella rivista diretta da Bellocchio, due articoli sulla società americana in cui profetizzava l’inevitabile processo di “proletarizzazione” degli impiegati e dei tecnici. Era un processo previsto dai classici del marxismo e confermato anche da quelli post marxisti: dunque, ineluttabile. Più tardi il professor De Rita, forse più autorevolmente ispirato, spiegherà che era accaduto il contrario: un pezzo fondamentale del proletariato operaio aveva trasferito le proprie ambizioni e i propri sogni dentro il mondo dell’invidiato ceto medio.
C’era Ada Becchi, giovane studiosa genovese che sapeva tutto, su tutto e di tutti. C’era Ernesto Miata, veniva dalla Sicilia ed era emigrato al Nord per frequentare un po’ più da vicino la classe operaia fatta di duri e di puri. C’era Enrico Galbo, un austero e simpatico professore veneto, che provvedeva (sempre più a stento) a far quadrare i conti dell’economia con i classici del marxismo. Chi fosse passato nella stanza di Alberto nel pomeriggio di un giorno qualunque, avrebbe partecipato a un vero e proprio happening, ben mescolato, eterogeneo e, naturalmente, interdisciplinare. A fianco, qualche porta più in là c’era Lama. Al piano di sotto Bruno Trentin.
Qualche anno più tardi regalai ad Alberto il poema di Attilio Bertolucci La Camera da letto, epopea di una famiglia maremmana che emigra verso il Ducato di Parma e Piacenza: proprio dalle parti di Bobbio dove sarebbero nati, l’uno dopo l’altro, tutti i Bellocchio. Alberto sosteneva che all’origine della sua vocazione di narratore in versi di saghe familiari, sindacali, sentimentali, c’era questo libro. Non è ovviamente vero, ma ad Alberto piace raccontarla così.

Dopo arrivò Marco. Di lui sentii parlare a una riunione del psi dopo l’uscita del suo secondo lungometraggio: La Cina è vicina. Pietro Nenni era un po’ preoccupato e un po’ risentito per il ritratto dei socialisti che emergeva dal film. Corremmo tutti al cinema e ci arrabbiammo, come Nenni comandava.
Ho rivisto Marco trentacinque anni dopo in una sala di montaggio dove aveva appena finito di assemblare il suo Buongiorno, notte. Quando l’ultima immagine scomparve nel piccolo monitor lo guardai e gli dissi: «… ti faranno a pezzi». Sembrò non capire il senso di questo vaticinio. Qualche tempo dopo, una delle più becere giurie della storia del Festival del Cinema di Venezia premiò un film russo che nessuno ricorda più. Solo per non premiare il bellissimo e coraggioso film sulla fine di Aldo Moro.

Ma Marco era troppo addolorato per quell’insulto per ricordarsi di uno dei pochi pronostici che ho azzeccato nella mia vita. Protestai sul «Corriere della Sera» ma la vergogna era già stata consumata.

Infine arrivò Piergiorgio. In una libreria milanese si presentava un volumetto di poesie del più giovane dei suoi fratelli maschi. Il mio compito, quella sera, era di fare da testimone alla nascita della passione per la poesia di suo fratello. Guardò Alberto per tutto il tempo con gli occhi pieni di tenerezza: da fratello maggiore che osserva una “impertinenza” intelligente di un fratellino, impertinente e intelligente. Ed osservava me, con lo sguardo severo di chi aveva maturato nei confronti dei sindacalisti un pregiudizio impossibile da rimuovere.
Il direttore dei «Quaderni piacentini» era riuscito, con la complicità di Goffredo Fofi, a far rivedere il giudizio su Totò di tutta l’intelligenza italiana. Ma la sua avversione verso il nostro analfabetismo era rimasta tale e quale: immutabile.

Benvenuti nella nostra terra!

Il Presidente della Regione Abruzzo
On. Ottaviano del Turco


Una rassegna di film, una mostra di disegni, un’altra di fotografie, un concerto, uno spettacolo teatrale, una serie di incontri. Siamo orgogliosi di aver contribuito a questo omaggio piuttosto articolato ai tre fratelli Bellocchio; tre diverse personalità della cultura italiana, tre figure che hanno animato per diversi decenni il dibattito – anche politico – nel nostro Paese, in modi differenti. Alberto attraverso la sua attività di sindacalista prima e di narratore poi; Piergiorgio grazie alla creazione di quella straordinaria rivista che è stata «Quaderni piacentini» e con il suo sempre puntuale lavoro di critico letterario e saggista; Marco, infine, mediante una filmografia di altissimo livello che ha riscosso successo di critica e pubblico anche a livello internazionale.
Le biografie e le arti parallele dei tre fratelli, messe a confronto in questo tributo aquilano, ci restituiscono un’idea singolare di famiglia, microcosmo che non genera solo quei drammi e quelle tensioni che diventano poi indispensabile materia letteraria, pittorica o cinematografica, ma luogo ideale e geografico, strettamente legato alla terra e all’identità, cui riferirsi continuamente. Non è un caso che sia nell’opera di Marco che in quella di Alberto il “leit motiv” familiare ritorni continuamente sotto diverse forme.
L’omaggio ai fratelli Bellocchio diventa così un’occasione per tracciare un percorso interdisciplinare: e non poteva che essere il teatro comunale lo spazio adatto per una manifestazione del genere, il crocevia dove il poema in versi si trasforma in teatro, la pittura incontra il cinema. Ma “Fratelli d’arte” rappresenta al tempo stesso il pretesto per riflettere su quelle che sono state e continuano a essere le radici culturali, artistiche e politiche del nostro Paese.

La Presidente del TSA
Stefania Pezzopane


Lunedì 14 maggio, alle ore 17.00, presso il Teatro Comunale, inaugurazione della mostra di dipinti e disegni di Marco Bellocchio nonché fotografie del suo film più recente Il regista di matrimoni.

Lunedì 14 maggio, alle ore 18.00, presso il Teatro Comunale, insieme ad Alberto e Marco Bellocchio, a discutere sull’opera dei tre fratelli sono previsti gli interventi di: Ottaviano Del Turco (presidente Regione Abruzzo), Adriano Aprà (storico del cinema), Andrea Cortellessa (critico letterario), Bruno Di Marino (storico dei media), Gianfranco Pannone (cineasta).

Lunedì 14 maggio, alle ore 20.00, presso il Teatro Comunale, proiezione del film Sorelle” di Marco Bellocchio. Uno sguardo d’autore sulla dolcezza e sulla malinconia della vita in famiglia. Un racconto intimista sulla necessità di partire e sul desiderio di ritornare al proprio luogo di nascita.

Martedì 15 maggio, alle ore 18.00 presso la Sala Celestiniana dell’Abbazia di Collemaggio, proiezione del documentario “Sirena operaia” di Gianfranco Pannone,
dal racconto in versi “Sirena operaia” di Alberto Bellocchio. Gli anni ’60 e ’70, con particolare riferimento all’autunno caldo, visti attraverso gli occhi di un sindacalista della CGIL. La fabbrica e gli operai raccontati dalla sua testimonianza, affettuosa e ironica, sono elementi non solo di un mito ma strumenti di potere superiore, espressione di una democrazia a metà.

Martedì 15 maggio, alle ore 21.30, presso il Teatro Comunale, uno spettacolo teatrale tratto da Il libro della famiglia di Alberto Bellocchio, regia di Federico Fiorenza e Reuven Halevi, con la partecipazione straordinaria di interpreti come Mariangela d’Abbraccio, Marco Spiga, Marco Andriolo, Mira Andriolo, Milo Vallone, Serena Mattace Raso, Riccardo Ricci, Alessia Giangiuliani, Daniele Milani e le musiche dal vivo di Giò di Tonno, Nejat Isik Belen, Simona Molinari.
LA NOTA DI REGIA
"Un incontro fugace il primo con Alberto Bellocchio, a Milano nella sede del Piccolo Teatro, dove ci siamo scambiati poche parole e ho avuto in dono il suo libro. Poi ancora Milano, il viaggio insieme a L’Aquila, giorni di conoscenza, attivi, memorie comuni, le famiglie, emozioni che il poeta/narratore ti trasmette con la sua leggerezza d’animo, con la sua sottile delicata fisicità che mi sembra coprire un nerbo d’acciaio.
Diventa più vivo il progetto teatrale, non lettura, qualcosa in più dal Libro della Famiglia che ritrae un destino cristallizzato nel seno dell’italianissimo modello d’intimità familiare.
Dalle campagne dell’800 agli studi, alle professioni, all’ emblematica famiglia che si inserisce nel pensiero del concettuale cannocchiale rovesciato di Pirandello, di Pavese de La luna e i falò, La famiglia di Scola, Novecento di Bertolucci, il tedesco Heimat.
Dall’armonia della convivenza fra fede e terra, fra lo spirito e il lavoro, il mondo della tradizione orale all’avvento del materialismo, le leggi di mercato, le industrie, l’ economia internazionale, le rivolte sociali, le guerre, gli studi, il mestiere e di conseguenza la ricerca spirituale, intellettuale, artistica e letteraria, l’impegno e la solitudine del fare.
Il profumo del borotalco si alterna ai fiori dei morti, i costruttori tenaci e decisi ai dubbi dei figli, le donne resistono ai mutamenti, più consapevoli e reattive al dolore, conscie dell’esilio nella grande città, dove la percezione sensoriale alterata, causata dalla velocità urbana, le mastodontiche infrastrutture, la moltitudine di spazi e di destini fa crescere a dismisura la sensibilità e la consapevolezza di sé.
Attraverso gli occhi, le gesta e le parole di Antonio, di Barbara, di Bruno e di Dora viviamo nel libro d’istruzioni della memoria.
Attraverso il divenire delle generazioni della Famiglia, ri-viviamo le nostre famiglie, disseppelliamo i nostri cari, con una struggente nostalgia per tutte le famiglie della memoria di tutti, per i dolori e le allegrezze, per le vite spezzate e per le ingiustizie del mondo.
Ogni Bellocchio, come chiunque di noi, è come all’interno di un abitacolo, una navetta che chiude fuori il resto del mondo mentre si scorre lungo il filo del tempo.
E da questo modernissimo punto di vista, dall’interno dell’abitacolo della propria privata identità, si osserva la contemporaneità delle epoche passate, che sono vive, tutte insieme e al contempo, in chi ricorda.
E come se ciascuno di noi, essere unico ed irripetibile, potesse stare a bordo campo a osservare una partita eterna nella quale egli stesso gioca, seppure per un momento, insieme a generazioni passate, insieme a se stesso da bambino, da giovane, da adulto. Tutta la Storia passata vissuta nella tua stessa giornata. Così il Libro della Famiglia appende tutte le sue pagine davanti ad Alberto come fossero un ritratto capace di evocare tutte le epoche della famiglia Bellocchio al tempo stesso. I figli sono il sunto di tutti i loro antenati e tramite lui vivono.
E nella dimensione che Alberto ci propone, rivediamo e scopriamo la nostra identità, l’enorme e sempre crescente accumulo di vita propria e di chi ci ha preceduto.
Più è difficile riconoscersi, tanto più è forte l’urgenza di ritrovarsi, nei propri affetti, riflesso in un ritratto…. o nel libro della famiglia". <br>
FEDERICO FIORENZA
Da mercoledì 16 al 18 maggio, presso il Cinema Massimo, una rassegna di sette film di Marco Bellocchio (da I pugni in tasca a Il diavolo in corpo a Buongiorno, notte fino a Il regista di matrimoni) con la gentile collaborazione dell’Accademia dell’Immagine. Ingresso libero

Venerdì 18 maggio alle 21.30, presso il Teatro Comunale, si chiude con un concerto dell’Orchestra Città Aperta che, diretta dal maestro Carlo Crivelli, presenterà, su progetto di Marco Bellocchio, la Sinfonia Specchiante n. 3 sulle immagini del film "La passion de Jeanne d’Arc" di Dreyer.

A corredo della manifestazione viene pubblicato un catalogo ricco di materiali critici e documentativi curato da Lara Nicoli.

PROGRAMMA

TEATRO COMUNALE DI L’AQUILA
Lunedì 14
Ore 17.00
Apertura delle mostre
IL CINEASTA E IL PITTORE
opere pittoriche di Marco Bellocchio

Fotografie e bozzetti de IL REGISTA DI MATRIMONI

Ore 18.00
Incontro con Marco Bellocchio e Alberto Bellocchio
e
Adriano Aprà, critico cinematografico
Andrea Cortellessa, critico letterario
Ottaviano Del Turco, Presidente Regione Abruzzo
Lara Nicoli, giornalista

Ore 20.00
Proiezione del film “Sorelle” di Marco Bellocchio
e riflessioni conclusive

SALA CELESTINIANA ABBAZIA COLLEMAGGIO
Martedì 15
Ore 18
Proiezione del documentario “Sirena Operaia”
di Alberto Bellocchio, regia di Gianfranco Pannone
tratto dal libro omonimo edito Il Saggiatore
riflessioni conclusive con Alberto Bellocchio e Gianfranco Pannone

TEATRO COMUNALE DI L’AQUILA
Ore 21.30
“Il libro della famiglia, ascesa e caduta del Principe”
di Alberto Bellocchio,
regia di Federico Fiorenza e Reuven Halevi
con Mariangela d’Abbraccio, Marco Spiga,
Marco Andriolo, Mira Andriolo, Milo Vallone, Serena Mattace Raso,
Riccardo Ricci, Alessia Giangiuliani, Daniele Milani

musiche dal vivo di Giò di Tonno, Nejat Isik Belen, Simona Molinari

Allestimento a cura del TSA

CINEMA MASSIMO OMAGGIO A MARCO BELLOCCHIO
Mercoledì 16
Ore 17.00
Apertura della Rassegna cinematografica su Marco Bellocchio,
con Adriano Aprà, Bruno Di Marino

Ore 18.00
I pugni in tasca (1965)
Ore 20.15
Nel nome del padre (1972)

Giovedì 17
Ore 18.00
Il diavolo in corpo (1986)

Ore 20.15
L’ora di religione (2002)

Venerdì 18
Ore17.00
Buongiorno notte (2003)
Ore 19.15
Il regista di matrimoni (2006)

TEATRO COMUNALE DI L’AQUILA
Venerdì 18 Ore 21.30
Su progetto di Marco Bellocchio
l’Orchestra Città Aperta diretta dal M° Carlo Crivelli
presenta la Sinfonia Specchiante n. 3
sulle immagini del film "La passion de Jeanne d’Arc" di Dreyer

Tutti gli eventi sono a ingresso libero

Orario delle Mostre
ore 10.30-13.00
ore 17.00-20.00

per ulteriori informazioni:TSA 0862 62946 25584

Vite parallele di tre fratelli
Lara Nicoli

«Leggo con interesse e passione gli epistolari, le memorie, le testimonianze. Credo sempre meno nella cosiddetta creatività. Preferisco gli esecutori. Nel Tempo ritrovato Proust si definisce “un traduttore”». Così Piergiorgio Bellocchio affermava in una intervista pubblicata sul «Corriere della Sera» nell’agosto del 2005 e che riportiamo integralmente nella sezione a lui dedicata. Iniziare una introduzione ai tre fratelli Bellocchio: Piergiorgio, Alberto e Marco con una simile dichiarazione, aiuta a difenderci non solo dalla possibile critica che lo stesso Piergiorgio ci potrebbe muovere e ci ha in realtà mosso, e cioè il rischio con questa rassegna di fare del pettegolezzo familiare inutile, ma anche dai toni celebrativi. Se si parte dalla biografia, anzi in questo caso dalle tre biografie, come fossero un esempio di narrativa memoriale – che pare oggi la più credibile perché racconta storie che nascono già con una garanzia di verità, si svelano ed evocano immagini, connessioni e contrasti fraterni di innegabile autenticità –, allora quelle biografie saranno, o forse potrebbero essere, il punto di partenza per qualcos’altro: un saggio, un libro, un poema, un soggetto cinematografico.
Se così fosse allora significherebbe che questo stravagante evento tra arte e biografia, tra interiorità familiare e impegno sociale, tra esercizio alla poesia epica e sua rappresentazione, tra immagini visionarie e saggistica, avrebbe comunque fornito uno spunto, un’intuizione, un’idea.
Piergiorgio, Alberto e Marco, sono tre fratelli membri di una numerosa famiglia di buona borghesia della provincia di Piacenza nati rispettivamente negli anni 1931, 1936, 1939. Non che siano gli unici, ci sono altre sorelle e fratelli (Antonio detto Tonino, Maria Luisa e Letizia, queste ultime interpreti della produzione più recente del regista, Camillo, gemello di Marco e morto tragicamente nel 1968) ma non è una forzatura enuclearli in un terzetto perché hanno degli elementi di sintonia maggiori rispetto agli altri.
Legatissimi alla grande casa di famiglia di Bobbio, fortemente evocativa per i paesaggi della Val Trebbia, con una mamma, Dora, fragile e stremata dalle vicende famigliari. Marco soffrirà molto per quello che recepiva come un atteggiamento anaffettivo della madre; rapporto che invece Alberto vivrà in modo più sereno. Nei tre si salda un legame e un senso di appartenenza fortissimo anche se poco o per nulla espresso. Un anno importante nell’impostazione del loro rapporto è sicuramente il 1956, quando il padre Bruno muore dopo una lunga battaglia personale contro la malattia. Da quell’anno a prendere le redini della famiglia sarà Piergiorgio, il più grande, che poi rimarrà sempre, per Alberto ma soprattutto per Marco, un punto di riferimento essenziale, come confronto culturale, come coscienza critica, come super-Io. Piergiorgio è il più colto, il più anti-istituzionale, il più intellettuale. È lui che prende le veci del padre in quell’anno tragico, sostituendosi alla figura paterna da sempre legata al partito fascista. Ogni connessione e contrasto tra i tre fratelli così come il delinearsi delle loro complete personalità, si configura dal 1956, fino alla fine degli anni ’60, con la rivoluzione studentesca e il contratto
dei metalmeccanici.

Dopo la morte del padre, Marco vive una profonda crisi religiosa: «cessai di colpo di credere negli ideali dell’ideologia cattolica. Fu una crisi di fiducia. Il mondo che mi era familiare e in cui credevo perse ogni credibilità. Il crollo fu traumatico… Mi è venuta a mancare la paura. Ma con la paura mi è mancata la fiducia nella giustizia divina. Ho capito che i conti bisogna farli qui sulla terra. Poi questa fiducia è diventata insicurezza nei rapporti, difficoltà di comunicazione. Tutte cose che fanno parte del mio carattere1.»
Sia Piergiorgio che Alberto che Marco frequentano lo stesso liceo classico di Piacenza e hanno una forte educazione cattolica, tutti e tre per una serie di disavventure scolastiche abbandonano il liceo pubblico e trovano rifugio nel collegio San Francesco retto dai padri barnabiti. Tutti e tre scelgono la facoltà di giurisprudenza e abbandonano presto l’università. Il periodo che va dalla fine degli anni ’50 agli inizi degli anni ’60 è quello in cui si delineano nettamente le loro personalità con connessioni e contrasti.
Entrano a far parte di un’associazione culturale di cui Alberto poi racconterà ne La banda dei revisionisti. Si tratta di un gruppo di giovani di sinistra con un comune sentire cultural-politico, con curiosità, voglia di agitazione, rinnovamento, forte sensibilità al mondo che li circonda. Si organizzavano dibattiti culturali, rassegne, con una connotazione di sinistra forte, contrapposta al filone paterno, in quegli anni in cui essere di sinistra significava veramente qualcosa, voleva dire come spiega Alberto «demistificare l’ipocrisia, il bigottismo, significavafar fare un salto a quell’Italietta. C’era al livello della classe lavoratrice il bisogno atavico e
fortissimo di riconoscimento di status all’interno della società e di diritti sindacali2». Si tenga conto che di quell’associazione facevano parte giovani studenti borghesi e operai, e che i tre fratelli appartenevano al primo gruppo.
I tre sono oramai giovani impegnati a sinistra con tutto quello che significa essere di sinistra nell’Italia del boom economico che esplode con la sua voglia di cambiamento e di creatività.
Siamo nei primi anni ’60 e, pur in un legame che rimane sempre molto forte, cominciano anche a prendere forma e a modellarsi le loro personalità. In Marco emerge irruente la componente artistica: si iscrive al Centro Sperimentale di Cinematografia a Roma al corso di regia (il saggio critico di ingresso su Fellini glielo scrive il fratello Piergiorgio), frequenta i giovani artisti di Piazza del Popolo, dipinge.
Nel marzo-aprile del 1962 escono i primi due fascicoli di «Quaderni piacentini», rivista fondata da Piergiorgio insieme a Grazia Cherchi, altra figura di intellettuale piacentina. La rivista, che aveva come sottotitolo a cura dei giovani di sinistra, diventa molto presto nevralgica per lo sviluppo del dibattito politico, culturale e letterario in Italia. Sul suo indirizzo politico iniziale influirono le idee che in quel periodo si andavano dibattendo in piccoli gruppi marxisti di tendenza operaista, legati ad altre riviste come i «Quaderni rossi» e «Classe operaia». Ai «Quaderni piacentini» Piergiorgio dedica vent’anni della sua vita, fino al numero 74 del 1980 – dove appare un rilevante editoriale dello stesso Bellocchio (Riflessioni ad alta voce su terrorismo e potere) – con cui si chiude la prima serie della rivista.
Sui «Quaderni piacentini», che hanno venduto fino a diecimila copie, scrivevano all’inizio anche Marco e Alberto, ma quasi subito quest’ultimo se ne allontana e diviene funzionario della Camera del Lavoro di Piacenza. I «Quaderni» diventano una rivista anti-istuzionale e di contestazione.
Le tre personalità si sono oramai delineate: Piergiorgio è un intellettuale, un saggista, un organizzatore culturale che continua a vivere a Piacenza, ma è fortemente in rapporto con i maggiori fermenti culturali e politici italiani ed europei. Marco diviene il cineasta “arrabbiato” che esplode con I pugni in tasca nel ’65, a cui segue La Cina è vicina, portato in concorso al festival di Venezia nel 1967, e una serie di documentari collegati alla sua iscrizione al partito dei marxisti-leninisti, come Discutiamo,discutiamo (quinto episodio di Amore e Rabbia), Il popolo calabrese ha rialzato la testa, Viva il primo maggio rosso proletario (tutti del 1969), fino a tornare al cinema di finzione nel 1971 con Nel nome del padre, la cui sceneggiatura fra l’altro è rivista da Piergiorgio e Grazia Cherchi. Sbatti il mostro in prima pagina del 1971, scritto insieme a Goffredo Fofi, si colloca anch’esso nel filone del cosiddetto cinema politico. Alberto è sindacalista socialista di impronta nenniana.
Non mancano contrasti di pensiero tra i fratelli: sarà Alberto a offendersi del sarcasmo nei confronti dei socialisti ne La Cina è vicina. Sarà Piergiorgio a criticare il contratto dei metalmeccanici del ’69, così come lo statuto dei lavoratori, che invece per Alberto sono delle conquiste fondamentali dei lavoratori. Sarà Piergiorgio a rappresentare sempre per Marco un pungolo critico nella fantasia d’artista. È Piergiorgio che criticherà Marco per l’indulgenza con cui ha tratteggiato le br in Buongiorno, notte. È Piergiorgio che gli fa da consulente per un possibile film sul figlio segreto di Mussolini. Ed è Alberto che risponde alla quotidianità del sindacato, iniziando a scrivere poesie e poemi, recuperando e riconciliandosi con le proprie radici familiari. Ma l’ha fatto con più dolcezza, con meno rabbia degli altri due. Per Alberto l’esercizio della poesia ha rappresentato – come lui stesso spiega nell’intervista inserita nella sezione a lui dedicata – una rivalsa, forse un riscatto, sulla prosaicità della vita.
Dopo l’esordio nel 1997 con Il gioco dei quattro cantoni, dal 2000 al 2007 ha pubblicato molto: da Sirena operaia a La banda dei revisionisti, da Il libro della famiglia a Ned-Ludd, fino all’ultimo La storia di Aldo.
Per tornare all’importanza delle biografie collettive e personali è peraltro evidente che Marco Bellocchio nei suoi film, come sottolinea acutamente Adriano Aprà: «Parla quasi sempre di sé, della sua storia “intima” (si pensi per esempio a I pugni in tasca, a Nel nome del padre, a L’ora di religione solo per citarne alcuni) e lo fa con tanta ostinazione microscopica da raggiungere l’obiettivo opposto: quello di parlare di ciò che, proprio perché interiore, riguarda tutti3.».
E lo storico del cinema aggiunge: «Il fatto che i casi umani familiari che lo hanno dannato e appassionato e che sono fonte creativa, per lui come per i fratelli Alberto e Piergiorgio siano quasi sempre estremi [estremismo che nei quadri diviene puro espressionismo, ndc] è il segno di una volontà che desidera uscire fuori di sé e ridisegnare un altro mondo4», tragico ed evocativo, eppure idealista e innamorato, o sempre alla ricerca d’amore.
La storia di tre fratelli, rubando per gioco solo il titolo a un film di Francesco Rosi, potrebbe allora diventare un nuovo universo da raccontare, popolato da operai, giovani borghesi, sindacalisti, poeti, un altro spazio senza tempo dove ricostruire il tempo creando altre immagini visionarie, sospese tra realtà e immaginazione.

NOTE

1/ Marco Bellocchio in Dacia Maraini, Marco Bellocchio, e tu chi eri? 26 interviste sull’infanzia, Milano, Rizzoli, 1998, pp. 44-45.

2/ Dalla breve conversazione con Alberto Bellocchio pubblicata in questo volume.
3/ Adriano Aprà, Un’epica dell’interiorità in Bellocchiana, Fondazione Pesaro Nuovo Cinema Onlus, Fondazione Centro Sperimentale di Cinematografia, 2005.

4/ Ibidem, p. 8.

Biografie

Alberto Bellocchio (Piacenza, 24 agosto 1936). Dal 1960 al 1985 è stato dirigente sindacale prima della FIOM e poi della CGIL. Dal 1986 opera in strutture consulenziali e di progettazione sulle problematiche dello sviluppo, della formazione e del lavoro. In seguito si dedica all’attività di poeta e narratore in versi. Le sue raccolte di poesie, pubblicate su riviste letterarie e alcune plaquettes, sono: L’ora della gazza, Servitù accessorie, Canzone della piccola gente, Robinson. I suoi racconti in versi: Il gioco dei quattro cantoni (Lietocollelibri, 1997); Sirena operaia (Il Saggiatore, 2000); La banda dei revisionisti (Moretti & Vitali, 2002); Il libro della famiglia (Il Saggiatore, 2004); Ned Ludd, e che dio salvi il mestiere! (Moretti & Vitali, 2005); Il romanzo di Aldo (Effigie, 2007). Le storie di Bellocchio sono sempre profondamente intrecciate alla storia del paese e si muovono nel più ampio contesto dei rapporti sociali. Il suo registro è quello del narratore in versi liberi, campo – poco praticato in Italia – in cui prosa e poesia si contaminano e si vivificano reciprocamente dando luogo, attraverso un personale ritmo epico/lirico, a una forma poematica o romanzo in versi che esalta la finzione civile della poesia. Da alcune sue opere (Il libro della famiglia, Ned Ludd) sono stati tratti spettacoli teatrali. Alberto Bellocchio vive a Milano

Marco Bellocchio (Piacenza, 9 novembre 1939). Dopo essersi diplomato presso il Centro Sperimentale di Cinematografia nel 1962, si reca a Londra per un breve periodo. Qui concepisce il soggetto di quello che sarà il suo primo lungometraggio, I pugni in tasca (1965), film duro e provocatorio che suscita grande interesse e scalpore nella critica. Seguiranno altri film come La Cina è vicina (1967) e Nel nome del padre (1971). Ma Bellocchio si dedica anche al documentario politico (Il popolo calabrese ha rialzato
la testa) e sociale (Nessuno o tutti). Nel 1976 ritorna al cinema di finzione con Marcia trionfale, affresco sulla vita militare. Molto intensa è anche la sua attività teatrale, che si articola nella messa in scena di alcuni spettacoli (a cominciare dal Timone d‘Atene nel 1969) o nella riduzione cinematografica di classici (Il gabbiano, Enrico IV, Il principe di Homburg). Già in analisi freudiana dal 1973, nel 1977 Bellocchio comincia un tipo di analisi collettiva con Massimo Fagioli, un incontro che avrà influenza decisiva nel suo cinema degli anni ’80 e ’90, come Diavolo in corpo (1986), La visione del sabba (1988) e La condanna (1991), che tra l’altro sviluppano un discorso sull’identità femminile. Oltre a essere co-sceneggiatore de La condanna, Fagioli è anche autore de Il sogno della farfalla (1994), film che segna la fine della loro collaborazione. Nel 1991 Bellocchio fonda tra l’altro la Filmalbatros, società con cui produrrà tutti i suoi film. Tra i suoi lungometraggi dell’ultimo decennio ricordiamo La balia (1999), L’ora di religione (2002), Buongiorno, notte (2003) e Il regista di matrimoni (2005).

Piergiorgio Bellocchio (Piacenza, 15 dicembre 1931). Organizza gli “incontri di cultura” presso un circolo cittadino attivo tra il 1958 e il 1961 favorendo contatti diretti con intellettuali di rilievo nazionale quali Fortini, Paci, De Martino, Dolci, ecc. Nel 1962 fonda i «Quaderni piacentini», che dirige fino al 1984, punto di incontro tra la generazione di Cherchi, Fofi, Salvati, Jervis, Ciafaloni, Donolo, Bologna, Rieser, Baranelli, Stame, ecc. e quella dei “fratelli maggiori” Fortini, Solmi, Masi, Cases, Timpanaro, Fachinelli. Negli anni ’70 si aggiungeranno i più giovani Berardinelli, Moretti, Flores e altri. Nel 1966 Bellocchio pubblica tre racconti sotto il titolo I piacevoli servi (Mondadori), mentre un altro racconto è compreso nell’antologia Racconti italiani del Novecento (I Meridiani, Mondadori 2001). Nel 1985 fonda e dirige con Berardinelli la rivista «Diario»: una scelta di suoi scritti è raccolta in Dalla parte del torto (Einaudi, 1989) ed Eventualmente (Rizzoli, 1993). L’astuzia delle passioni (Rizzoli, 1995) raccoglie invece suoi scritti dal 1962 al 1983, usciti principalmente sui «Quaderni Piacentini», mentre Oggetti smarriti (Baldini e Castoldi, 1996) riunisce una serie di articoli apparsi sul «l’Unità» tra il ’92 e il ’93 nella rubrica dallo stesso titolo. Negli anni ’70 è stato tra i collaboratori dell’Enciclopedia Europea Garzanti e ha scritto prefazioni a opere di Stendhal, Dickens, Casanova, Nizan, Flaubert. Ha collaborato inoltre a «l’Unità», «Panorama» e a periodici come «Linea d’ombra», «Lo straniero», «L’illustrazione italiana», «Tempo illustrato» e «King».