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Pubblicato il 05 Luglio 2013

DIARIO DI UNA NOTTE DI MEZZ’ESTATE 2. IL “SOGNO” DI ERMIA, DI TITANIA E DI BOTTOM

Dire che nel “Sogno di una notte di mezz’estate” ci sia un sogno solo perché questa parola è presente nel titolo, è cosa ovvia. In realtà ce n’è ben più di uno. Ci sono tre “esseri” (li chiamerò così!), Ermia, Titania e Bottom, che si risvegliano da un incubo; e tre, Lisandro, Titania e Demetrio, che appena si svegliano si innamorano di chi hanno di fronte, per effetto dell’incantesimo di Puck, uno spiritello pasticcione, alle dipendenze di Oberon, re delle fate che popolano la foresta…

Ma tralasciamo per un attimo questo singolare folletto.

Osserviamo, invece, chi si risveglia dall’incubo.

 

Il brutto sogno (e il successivo risveglio dall’incubo sconvolgente) torna a più riprese in “Sogno di una notte di mezz’estate”. Per Ermia, per Titania e per Bottom.

Nel primo caso Ermia è molto spaventata, nel secondo Titania è rassicurata da Oberon, nel terzo, Bottom vuole addirittura scriverci una ballata!

 

Prima di tutto c’è il sogno di Ermia, il terribile incubo nel quale tenta di liberarsi di una serpe in seno e cerca l’aiuto di Lisandro che, però, quando si sveglia, non trova accanto a se:

 

A II, sc. ii

Ermia:             (si sveglia) Aiutami, Lisandro, aiutami! Fa’ del tuo meglio

                        per strapparmi dal petto questa serve strisciante!

                        Aiutami, per pietà! Che sogno è stato!

                        Guarda, Lisandro, come tremo di paura!

                        Mi pareva che una serpe mi rodesse il cuore

                        e che tu guardassi sorridendo lo scempio.

                        Lisandro! Come? E’ andato via? Lisandro,

                        mio signore! Come, non mi sente?

                        E’ andato via? Nemmeno un suono,

                        nemmeno una parola? Ahimé, dove sei?

                        Parla, se mi senti. Parla, amore!

                        Svengo dalla paura. Vedo allora

                        che non sei vicino. Subito troverò

                        o la morte o te.

 

Immaginate un bosco popolato di animali di ogni tipo (uccelli, rane, lupi, insetti, …). Gli animali si sentono, ma non si vedono. Ermia è lì. Dorme; poi all’improvviso ha un incubo. Si sveglia convinta che l’amato Lisandro sia accanto a lei… E invece lui non c’è. Ermia si guarda attorno, lo chiama a gran voce. Ma nulla. Nessuno risponde e l’unica cosa che continua sentire è questo singolare “concerto” fatto dai versi degli animali.

 

La nostra Erica Archinucci oggi, sotto gli occhi attenti di Andrea Baracco, ha provato proprio questa scena. Matteo, Gianni, Danilo e Cosimo, dal canto loro, si sono divertiti a farle i versi degli animali. Non potete immaginare che “concerto naturale” è venuto fuori! Sembrava davvero di essere in una foresta!

 

Ma, come si suol dire, questa è un’altra storia…e anche sull’utilizzo degli animali da parte di Shakespeare tornerò in seguito.

Per ora rimaniamo all’analisi dell’incubo.

 

Il successivo incubo è quello che riferisce Titania a Oberon (la regina e il re delle fate del bosco) quando questi la libera dall’incantesimo. Ma lei pare rassicurata dalla presenza di Oberon… Forse non sa che era stato lui da ordire quell’”incubo” nel quale si era trovata (e che invece ella pensa di aver sognato!).

 

Ma uno dei monologhi più brillanti scritti da Shakespeare in “Sogno di una notte di mezz’estate” è quello di Bottom sul suo sogno/incubo. Il mastro artigiano pare non volerlo dimenticare, ma anzi, dice di volerlo far vedere a tutti! Pare quasi divertito.

 

A IV, sc. i

(Bottom si sveglia)

Bottom:          Alla mia battuta, chiamatemi e io rispondo. E parto

                        con “Bellissimo Piramo”. Ehihò! Peter Quince! Flute

                        l’aggiustamantici, Snout il calderaio, Starveling, Dio

                        buono – se ne sono andati tutti e mi hanno lasciato qui

                        addormentato! Ho avuto una visione – la più rara. Ho

                        fatto un sogno che non c’è intelligenza d’uomo che possa

                        dire che sogno fosse. E’ un asino l’uomo che provasse

                        a spiegarlo. Mi pareva d’essere – mi pareva di avere

                        – ma è un buffone matricolato che si offrisse di dire quel

                        che mi pareva di avere. Non c’è occhio d’uomo che abbia

                        mai sentito, né orecchio che abbia mai visto, né mano

                        che abbia assaggiato, né lingua che abbia concepito,

                        né cuore che possa riferire che sogno era il mio! Dirò

                        a Peter Quince di scriverci una ballata col mio sogno. Si

                        chiamerà “Il sogno di Bottom” perché non ha fondo.

                        E la canterò alla fine della recita davanti al duca. Magari,

                        per fare più effetto, gliela canto quando lei muore.

 

Anche Bottom, come Ermia e Titania è nel bosco.

Si era nascosto lì, insieme ad altri artigiani, per fare le prove della “Lamentevolissima commedia e la crudelissima morte di Piramo e Tisbe” (gli aggettivi del titolo fanno già presagire come sarà!), da presentare poi in occasione dei festeggiamenti per il matrimonio del duca Teseo con Ippolita.

 

Non era una cosa strana che un gruppo di artigiani si rifugiasse nel bosco per fare le prove di una commedia. All’epoca di Shakespeare era cosa normale che oltre le compagnie protette dai Lord, in città, ci fossero compagnie di artigiani, in provincia, che si riunivano per allestire pièces teatrali.

I due tipi di compagnie si facevano concorrenza perché spesso (soprattutto in periodi di peste o di restrizione legale) le compagnie protette dai Lord andavano in tournée in provincia (dove si recitava nei municipi delle cittadine). Congetture fanno presupporre che il giovane Shakespeare (era nato nel 1594, figlio di un guantaio e commerciante di pellami che aveva anche ricoperto cariche pubbliche) di Stratford-upon-Avon, si unisse ad una di queste compagnie girovaghe di attori, tramite la quale giunse a Londra (nel 1592 era già lì). E nella capitale inglese ebbe la sua fortuna, sia come attore che come autore. Pare che prima fece parte dei Lord Pembroke’s Men, poi, quando nel 1594, la regina Elisabetta volle la compagnia reale, lo troviamo come parte dei Queen’s Men, finchè questi non si separarono e, nel 1594, nacquero i Lord Chamberlain’s Men che, all’ascesa al trono di Giacomo I, nel 1603, presero nome di King’s Men. In ogni caso, a Londra, Shakespeare fu sempre legato ai Burbage (James, il padre, imprenditore e Richard, il figlio, imprenditore e attore).

Di “Sogno di una notte di mezz’estate”, come molte altre opere teatrali shakespeariane, non si conosce la data precisa di composizione, però gli estremi paiono essere il 1593 e il 1596 (in ogni caso, nel 1600 venne iscritta allo Stationers’ Register – corporazione dei librai e degli editori).

La cosa quasi certa è che la pièce fu composta dal bardo inglese per un matrimonio reale.

 

C’è anche da dire che il tema del play-within-the-play (cioè di un’opera teatrale recitata all’interno di un’altra) è frequentissimo in Shakespeare. Forse, il drammaturgo, con questo espediente rifletteva su se stesso e il suo lavoro.

E la cosa bella è che nel monologo che fa dire a Bottom, fa riflettere questo mastro artigiano oltre che sul sogno (che anticipa le tesi di Freud sul sogno insondabile che lo lega all’ignoto) anche sulla sua condizione e sul divertimento di essere attore: vuole raccontare il suo sogno a Peter Quince (un artigiano della sua compagnia)  perché ne scriva una ballata che lui stesso, poi, reciterà di fronte al duca!

 

Noi del laboratorio di recitazione, in una settimana di prove, abbiamo visto recitare questo monologo già varie volte dagli allievi-attori Luigi Di Pietro, Daniele Paoloni e Cosimo Ricciolino.

 

Volete anche sapere come ha gestito le prove del suo spettacolo con gli artigiani Mastro Bottom, da vero regista, e poi, come andata la recita di fronte al duca Teseo?

Be’, per questo dovrete attendere ancora un po’…ve ne parlerò un’altra volta!

 

 

ANNALISA CIUFFETELLI